Benvenuti… ma non troppo: ai senzatetto! – La recensione
Il 6° arrondissement è uno dei quartieri residenziali più ricercati Parigi. Rive Gauche, palazzi nobili, belli, eleganti. Insomma un emblema della stanzialità borghese più agiata. Che diventa luogo simbolico e scompigliato microcosmo di Benvenuti… ma non troppo (Le grand partage), film francese della regista Alexandra Leclère (in sala dal 28 aprile) che istruisce una commedia fanta-sociale sui temi di realtà obiettive e drammatiche.
Succede che, nel pieno di un inverno eccezionalmente freddo e nevoso, l’Eliseo stabilisca una legge altrettanto eccezionale per fronteggiare la crisi degli alloggi e garantire un tetto a chi non ne ha. Come? Obbligando all’accoglienza di rifugiati, lavoratori poveri e senzatetto in genere quelle famiglie che vivono in appartamenti più grandi rispetto alle loro necessità vitali; e calcolando la quantità dei “residenti supplementari” da ospitare in base a particolari coefficienti come i metri quadri disponibili e il numero dei componenti il gruppo familiare.
Uguali davanti all’invasione
Figurarsi che cosa può accadere in un condominio di quel quartiere residenziale. Dove vengono raccontati casi e risposte di alcuni nuclei-tipo della società francese (e non solo, evidentemente): la portinaia xenofoba del Front National (l’attrice Josiane Balasko), Christine e Pierre Dubreuil coppia ricca e conservatrice (Karin Viard e Didier Bourdon), la famiglia di intellettuali di sinistra composta da Béatrice e Grégory Bretzel (Valérie Bonneton e Michel Vuillermoz), più un aristocratico solitario e bizzarro (l’attore Patrick Chesnais) con vocazioni omosessuali.
Diversi ma non troppo, su costoro, gli esiti dell’invasione e della legge che l’ha generata: all’inizio il tentativo di evitarla con qualche trucco, dopo, davanti all’inevitabile, il classico buon viso al cattivo gioco. Non solo quello dei “reazionari” ma anche dei “progressisti” che confessano quanto sia “seccante aver votato a sinistra” visto che il governo francese corrente nel film è proprio di quella parte politica.
A ruoli invertiti
Fuori schema e fuori controllo soltanto l’aristocratico, il quale apre la sua porta in modo fin troppo indiscriminato. Cosa che, strada facendo, sono costretti a fare un po’ tutti, prima obtorto collo poi con più convinte e addirittura solidali attenzioni nel superamento di ogni ostacolo o pregiudizio, quasi a far propria la sentenza di un homeless che recita: “la povertà più grande è la mancanza di amicizia”. Allora ogni cosa si rimescola e accade perfino che i padroni di casa finiscano per dormire da un’altra parte o addirittura sul pianerottolo del palazzo, nel totale rivolgimento che precede il ritorno alla “normalità” quando, con l’arrivo dei primi caldi e la fine dell’emergenza, ogni cosa (e persona) viene rimessa al suo posto. Dentro e fuori.
Sceneggiatura vivace
Ipotesi estrema su un caso estremo. Insomma si estremizza qualcosa che, già di per sé, è “estremo” come l’emergenza. Il film si regge su una trovata che la regista Leclère traduce in una sceneggiatura abbastanza vivace, dove a volte il politically correct rimane, per restare in tema, fuori dalla porta ma, proprio per questa sua peculiarità, fornisce spesso lo spunto per le espressioni comiche più sapide di dialoghi e situazioni.
Scene brevi, andatura narrativa piuttosto svelta, recitazione corale sempre di livello (di Chesnais nei panni dell’eccentrico artistocratico e Balasko in quelli della portinaia i costrutti più validi): il tema dell’accoglienza è sempre in prima fila e forse, come motivo mediatique d’attrazione conserva una certa tenuta. Ma di pari passo, appena più sotteso e strisciante ma non per questo meno incisivo, si sviluppa e progredisce quello dell’osservazione sociale. Sotto la lente passano usi e costumi politici (e comportamentali) dei francesi: destra e sinistra non fa differenza nel pelago di contraddizioni dove s’immergono e si mescolano buoni e cattivi propositi. Chi legge Le Figaro non è poi così diverso da chi sventola Libération. Anzi. A volte si fa fatica a distinguere le rispettive posizioni o addirittura si procede a ruoli invertiti.
La buona idea di partenza
Succede. Non solo in Francia, evidentemente. Anche per questo il film, che oltre le connotazioni della commedia acquisisce quelle della favola e dell’apologo, si lascia vedere con buona dose di diletto. Niente di nuovo, certo. Le conclusioni sono piuttosto scontate, la morale è facile e il racconto, qualche volta, arranca, specie in taluni e troppo repentini cambi di direzione o “ravvedimenti” dei personaggi più avversi alle nuove prospettive di condivisione domestica. Ma nell’insieme si possono apprezzare l’idea di partenza e alcuni suoi sviluppi. Che neppure si negano una sana e sempre gradita scorribanda nel surreale.
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