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August 03 2013
Ci provavano da vent’anni e, alla fine, ci sono riusciti. L’intruso andava espulso perché lo hanno sempre considerato come il peccato originale. E l’unico modo per espiantarlo, visto che dal lontano 1994 il voto libero e popolare gli ha sempre confermato il crisma dell’intangibilità della democrazia, era quello di sottrarlo fisicamente al suo popolo. L’orchestrina giudiziaria ha intonato l’inno facendo strame della logica prima ancora delle regole, il codazzo editorial-moralisteggiante dei paraponzi-ponzi-pò ha fatto da grancassa diffondendo le note in Italia e nel mondo. Ed ecco il risultato: la conferma dei quattro anni di reclusione (di cui tre cancellati dall’indulto) nel processo Mediaset per frode fiscale.
Al di là delle disquisizioni giuridiche, la prima conseguenza vera e reale del verdetto pronunciato dalla Corte di Cassazione è questa: Silvio Berlusconi verrà prima o poi sottratto fisicamente al suo elettorato. Non ha importanza se sceglierà di trascorrere la pena agli arresti domiciliari piuttosto che accettare l’affidamento a un’opera caritatevole per espiare l’anno residuo di pena. L’uomo che ha vinto il tempo della politica, il comandante che ha sbaragliato eserciti di avversari, viene estromesso dall’arena per via giudiziaria.
Il Cavaliere (che dovrà subire anche l’onta di perdere il titolo onorifico) ha sempre fatto della fisicità un punto irrinunciabile della sua vita pubblica, il contatto diretto con i suoi sostenitori ha sempre costituito il balsamo capace di alleviare angosce e ritrovare lo spirito per ripartire. Perché è nel dialogo con gli elettori nei palazzetti e nelle piazze che Berlusconi ha sempre ricavato la certezza di dover continuare le battaglie per il Paese. È nelle grandi manifestazioni di folla, nell’intonazione del vangelo della libertà, nei cori con i suoi fan, che ha risalito la china di elezioni altrimenti irrimediabilmente perdute. L’idea di privarlo di questo balsamo equivale a farne un leone ferito. Ma non domo. Berlusconi ha abituato l’Italia a straordinari colpi di scena, ha rivoluzionato ogni regola grazie a una geniale capacità comunicativa declinata in maniera sempre uguale ma diversa negli ultimi vent’anni. Non è un caso se tutti gli avversari hanno sempre riconosciuto che «Berlusconi dà il meglio di sé in campagna elettorale». E non è casuale che la prima dichiarazione del segretario del Pd, Guglielmo Epifani, sia stata proprio diretta affinché la condanna sia immediatamente applicata. Alle viste, in teoria, c’è la campagna elettorale della prossima primavera per le Europee del 2014. I tempi di esecuzione suggeriscono come probabile l’ipotesi che il Cavaliere sarà imbavagliato. Ma, ripeto, l’uomo ha tali capacità di tirare fuori conigli dal cilindro che non mi meraviglierebbe l’invenzione di un rapporto diretto con il suo popolo.
C’è poi il versante della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici (che dovrà essere rideterminata dalla corte d’Appello di Milano). I tempi della decisione - che comunque dovrà poi essere sottoposta a un nuovo vaglio della Suprema Corte - non sono immediati. Anche se sarà di tre anni rispetto ai cinque inizialmente stabiliti, l’effetto sarà quello di tenere lontano Berlusconi dalle aule parlamentari ma anche da Palazzo Chigi nel caso di una nuova corsa elettorale. Si è sempre sostenuto, a ragione, che dopo Silvio Berlusconi ci sarebbe stato solo Silvio Berlusconi alla guida dei moderati. L’assunto, quanto meno da un punto di vista pratico, dovrà essere rivisto. Sono certo, conoscendo il Cavaliere, che non ha lontanamente intenzione di farsi da parte dopo la fucilata della Cassazione. Perché ha da sempre avuto l’intima convinzione che la storia non si cancella con una sentenza. La battaglia dunque continuerà, ma dovrà poggiare necessariamente su altre gambe. È prossimo il momento in cui Berlusconi individui una figura (o un gruppo dirigente) che lo affianchi a tempo pieno in questa nuova e faticosissima traversata del deserto. In questo senso gli esponenti del Pdl (o quelli della nascente Forza Italia) sono chiamati a dar prova di maturità e di capacità di fare, allontanando gli spettri della politica più inconcludente affiorati in un recente passato.
I prossimi saranno giorni complicati, ma non solo per Berlusconi e il suo popolo. La tenuta del governo Letta, paradossalmente, è legata alla capacità di non implodere del Partito democratico. Le avvisaglie che hanno preceduto il verdetto della Cassazione non lasciano prevedere nulla di buono. Le divisioni laceranti, l’odio politico che divide le correnti del partito non consentono di poter azzardare ipotesi. Da vent’anni diversi esponenti del fu Partito comunista, oggi riciclati nel Partito democratico, sognavano il momento della condanna definitiva, della catarsi del Caimano punito con il carcere. E difficilmente resisteranno al richiamo della foresta, a quell’odio per Berlusconi quotidianamente rinfocolato dai grillini e dalla lobby editoriale che accomuna La Repubblica e Il Fatto con i loro tribuni televisivi. I popoli viola e arancioni, i descamisados di Micromega e gli avanguardisti del Palasharp (quelli che fecero recitare a un bambino di 13 anni la filastrocca dell’odio berlusconiano) saranno scatenati: gli diranno che è impossibile stare al governo con un leader pregiudicato, metteranno in piazza una canea come quella già sperimentata in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica (Rodotà-tà-tà) per metterli alle corde. Vedremo come andrà a finire. Sarà un grattacapo non indifferente per Giorgio Napolitano, che dal momento dell’accettazione del nuovo settennato al Quirinale ha detto chiaro e tondo che nessun’altra via è possibile oltre il governo delle larghe intese. E ammesso che tutto vada a scatafascio c’è sempre da rifare una legge elettorale, c’è cioè da emendare prima di un eventuale ritorno alle urne il famigerato Porcellum fatto a pezzi dalla Corte costituzionale.
Una postilla è però d’obbligo rispetto alla dichiarazione fatta da Napolitano subito dopo la sentenza. «Ritengo e auspico» ha detto il capo dello Stato «che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia». È una certificazione che fa male quella del presidente, perché dice che solo «ora» è possibile mettere mano alla riforma dell’unico vero potere rimasto intatto in Italia e cioè la magistratura: «ora» che il peccato originale chiamato Silvio Berlusconi è stato estirpato per via giudiziaria dal corpo della democrazia italiana. Ma non chiamatela giustizia, per favore. E per pietà.