Silvio Berlusconi, maggio 2001 (Ansa)
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E Berlusconi disse: "Ora mi sente"

Da Panorama del 29 marzo 2001


Dopo il successo dell' edizione rilegata di "Scontro finale" (Rai Eri - Mondadori, 165mila copie vendute), Bruno Vespa manda in libreria martedì prossimo l'edizione economica (16.900 lire, distribuita anche nelle principali edicole) nella veste editoriale classica del Giallo Mondadori. In copertina spicca il sovratitolo "Ultimo atto. A camere sciolte". Il libro reca alcuni capitoli di aggiornamento fino alle ultime polemiche sul caso Berlusconi-Luttazzi-Santoro, una sintesi dei programmi dei due candidati premier e i sondaggi fatti dalla primavera dello scorso anno al febbraio-marzo 2001 dai cinque principali istituti demoscopici.

Anticipiamo alcuni brani della nuova introduzione del libro.

"Ero appena tornato a casa a Macherio dopo una riunione ad Arcore, quando mi chiamò un mio vecchio collaboratore: "Dottore, guardi Raidue...". Accesi e vidi quello spettacolo che ci portava ai limiti della convivenza democratica". Erano passate da poco le 23 di mercoledì 14 marzo 2001. Mancavano esattamente 60 giorni alle elezioni politiche e Silvio Berlusconi capì che era cominciato l'ultimo atto dello scontro finale... Fu così che la notte tra il 14 e il 15 marzo il centralino di villa Belvedere a Macherio si trasformò in una sala operativa di protezione civile. Berlusconi era furioso e anche visibilmente addolorato, ma come gli accade sempre in questi casi venne sommerso da telefonate così furibonde e da proposte di reazione così dure che finì col sentirsi un moderato. I più teneri si limitarono a suggerirgli di chiedere l' azzeramento dei vertici Rai. Ma nelle telefonate di quella notte a Berlusconi, non mancarono i promotori di manifestazioni di piazza. Il mattino dopo il Cavaliere partì all' alba per Roma e alle 9 era nel suo ufficio di via del Plebiscito con Paolo Bonaiuti. Raggiunse al telefono Fini in Puglia e Bossi a Milano: li trovò entrambi indignati. Il Senatùr, in particolare, usò espressioni più forti dello stesso Berlusconi. Cominciò una processione di visitatori. Il primo fu Maurizio Gasparri di An. Seguirono Massimo Baldini e Paolo Romani, che rappresentano Forza Italia nella Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Arrivò anche il presidente della Commissione, Mario Landolfi. Tutti furono ricevuti subito da Berlusconi che non riusciva a star seduto. "Io mafioso?", esclamava uscendo dalla stanza. "E' pazzesco!", ripeteva rientrando. "E' una vergogna!", concludeva infilando di nuovo la porta. A pranzo invitò otto persone: Gianni Letta, Pier Ferdinando Casini, Rocco Buttiglione, i capigruppo di Forza Italia Pisanu e La Loggia, il coordinatore nazionale del partito Claudio Scajola, Giulio Tremonti e Paolo Bonaiuti. Mentre veniva annunciata un' azione civile da 50 miliardi di Mediaset contro la Rai, Casini propose che tutti i parlamentari della Casa delle libertà - a cominciare dai leader - si rifiutassero di apparire in trasmissioni Rai fino a quando non si fossero avute garanzie di equilibrio. Tutti accettarono... Fin dalla notte del mercoledì, Berlusconi era convinto che l' intervista di Travaglio non fosse un incidente, ma facesse parte di un piano politico. Quel giovedì mattina lo colpì la consonanza di dichiarazioni favorevoli a Luttazzi da importanti dirigenti dei Ds. Tacque soltanto Massimo D' Alema e i giornali scrissero che considerava quella trasmissione un autogol. "D' Alema è il migliore dei peggiori", si compiacque il Cavaliere, procurando nuova inquietudine tra quanti nel centrosinistra sospettano sottovoce il presidente dei Ds di intesa col nemico... Nella sala da pranzo di palazzo Grazioli quella sera il maggiordomo Alfredo apparecchiò per tre: gli ospiti di Berlusconi erano soltanto Letta e Bonaiuti e avrebbero cenato seduti accanto al padrone di casa sullo stesso lato del lungo tavolo rettangolare. Bonaiuti aveva infatti chiesto che sull' altro fronte al posto dei commensali ci fosse un televisore, come accade quando vengono trasmesse le partite del Milan. Ma quella sera il Cavaliere sapeva di dover bere l' amaro calice di una partita ben più insidiosa. La trasmissione di Santoro era articolata su due fronti. Il primo era un' intervista al magistrato siciliano Paolo Borsellino registrata da due giornalisti francesi il 21 maggio 1992, due giorni prima dell' attentato mortale a Falcone e due mesi prima della strage in cuì morì Borsellino... Il secondo fronte nella trasmissione di Santoro è stato aperto da Di Pietro: pur non spingendosi a sospettare che l' attività imprenditoriale del Cavaliere fosse partita con i soldi della mafia (come aveva lasciato intendere Travaglio nella trasmissione di Luttazzi), il senatore si associava alle accuse a Berlusconi di aver fondato e mantenuto le società Fininvest all' estero, di aver utilizzato prestanome e denaro contante per sfuggire a ogni controllo e verosimilmente alle imposte. Quando Berlusconi cominciò ad agitarsi sulla sedia, Alfredo aveva appena servito a lui e a Letta un passato di verdure che Bonaiuti aveva respinto rifugiandosi in una insalata. "Non è vero", "E' falso", gridava indignato Berlusconi a ogni frase di Di Pietro. Prese il telefono, chiamò qualche suo collaboratore, si fece cercare il nome del notaio che negli anni Settanta aveva stipulato gli atti. "Adesso chiamo Santoro", disse il Cavaliere guardando il conduttore senza alcuna simpatia ("Quanto è costato quello lì quando era in Mediaset?"). Letta e Bonaiuti indossarono la loro consueta divisa da pompiere e gli dissero di lasciar perdere. Riuscirono così a mangiare gli hamburger e la verdura serviti per secondo. Ma prima che Alfredo tornasse con lo strudel, il Cavaliere esplose e telefonò alla Rai. Santoro lo tenne sulla graticola ancora un quarto d' ora e poi gli dette la linea. Più che una conversazione fu un alterco. Berlusconi disse che nessuna di quelle holding era nata all' estero. Erano nate invece a Milano nello studio del commercialista Minna, uno dei più importanti di Milano, utilizzando società già pronte (e per questo intestate a familiari o a persone di fiducia del professionista), come d' uso per accelerare i tempi. Nessun versamento in contanti, ma solo con assegni circolari e di conto corrente. Per chiarire la posizione di Mediaset verso il fisco, Berlusconi disse che la società paga 1.170 miliardi di imposte all' anno, pari a 4 miliardi al giorno. "La costituzione delle holding avvenne nel 1978 - mi dice Berlusconi - e non equivale affatto alla nascita del mio gruppo. Avevo già venticinque anni di attività imprenditoriale alle spalle che mi era valsa anche la nomina di Cavaliere del lavoro come principale costruttore di centri commerciali e residenziali d' Italia. Il mio cursus honorum imprenditoriale vantava già la realizzazione di molte residenze in Milano città, del Centro Edilnord per 4 mila abitanti, di Milano 2 per 10 mila abitanti e stavo costruendo Milano 3 per 12 mila abitanti e 3.400 abitazioni". Perché costituì quelle holding? "Fu una decisione consigliata a mio padre dai nostri consulenti di fiducia, il dottor Edoardo Piccitto e il dottor Armando Minna, titolari di uno dei più importanti studi professionali milanesi. La nostra attività imprenditoriale cresceva e si differenziava in vari settori. Occorreva quindi pensare al futuro e prevedere una sistemazione delle questioni ereditarie per i figli, per i nipoti e per i diversi membri della famiglia". A Santoro lei ha detto che i versamenti furono attuati per mezzo di assegni circolari e di conto corrente. Ne esiste traccia? "Abbiamo dato mandato a una nota società di revisione di ricostruire tutte le operazioni e siamo già riusciti a risalire a gran parte di esse. E' quasi un miracolo perché, come si sa, e come previsto dalla legge, dopo dieci anni le banche usano mandare al macero le loro documentazioni cartacee". Quei soldi le servirono a far nascere le televisioni? "No. La televisione non assorbì liquidità, la generò. Quando la Rai aveva il monopolio televisivo, la Sipra - è noto - concedeva gli accessi premiando i clienti più generosi con il finanziamento dei giornali di partito che erano tutti in perdita. La nascita di un' alternativa liberalizzò il mercato. Il fatturato di Publitalia passò dai 12 miliardi del primo anno ai 76 del secondo, agli oltre 200 del terzo". Riattaccata la cornetta, il Cavaliere aspettò la fine della trasmissione e per un' ora intera incassò telefonate di complimenti. A mezzanotte e un quarto, deludendo Letta e Bonaiuti che speravano in un commiato, disse: "Bene, prepariamo l' intervento per l' assemblea degli industriali di domani a Parma". Si fecero così le due quando gli amici furono finalmente congedati. Al Cavaliere il maggiordomo Alfredo dette la buonanotte alle cinque e la sveglia alle sette. Quando alle dodici e un quarto entrò nell' enorme auditorium della Fiera di Parma, i seimila imprenditori che l' affollavano lo applaudirono garbatamente, ma senza un entusiasmo preordinato. Berlusconi l' entusiasmo dovette guadagnarselo in cinquantacinque minuti di discorso a braccio che fu accompagnato ventuno volte dagli applausi, prima dell' ovazione finale... Scrisse l' indomani Sebastiano Messina su La Repubblica, il giornale più ostile al Cavaliere: "...Li ha convinti che lui e ciascuno di loro sono la stessa persona. Lui è loro, loro sono lui". La festa continuò la sera stessa a Bologna, nel palazzo del marchese Ippolito Bevilacqua, che per l' occasione aveva riaperto i saloni dove passò Carlo V incoronato a Bologna da Clemente VII e dove si svolsero alcune sessioni del Concilio di Trento. A centocinquanta persone furono serviti polenta con i moscardini, scampi, mousse di cioccolato e lamponi. Furono raccolti quattro miliardi di finanziamento elettorale che ben valevano una conclusione canora con Dans mon ile (al microfono, Silvio Berlusconi) come era avvenuto due mesi prima nella cena milanese a palazzo Brivio Sforza. Né a Parma, né a Bologna Berlusconi disse una parola sulla Rai. Domenica 18 marzo Luigi Crespi, patron di Datamedia, gli telefonò i risultati di un accurato sondaggio fatto prima che i giornali pubblicassero quello stesso giorno che i magistrati siciliani avevano chiesto l' archiviazione del Cavaliere per i fatti di mafia. Il 90 per cento del campione non ha mai creduto che Berlusconi vi fosse coinvolto. Ma quel che interessò di più il presidente di Forza Italia furono i supposti risultati politici delle trasmissioni di Luttazzi e Santoro. La Casa delle libertà veniva accreditata addirittura di quasi il sessanta per cento dei voti ("Che esagerazione!", commentò Berlusconi al quale,pure, l' ottimismo non ha mai fatto difetto) e Di Pietro guadagnava punti erodendo il patrimonio della sinistra e sfondando il muro del quattro per cento. Erano sondaggi, certo. In due mesi molte cose sarebbero potute cambiare. Ma Berlusconi se ne andò ugualmente di buonumore a San Siro a vedere (finalmente) una vittoria del Milan. Poi aspettò il ritorno di Ciampi dall' Argentina per chiedergli, la settimana successiva, di farsi garante che l' ultimo atto dello scontro finale fosse recitato da tutti senza nascondere pugnali dietro la schiena. E di consentire con questo il ritorno dei leader della Casa delle libertà in una televisione "garantista". Anche nella satira. (Satira?). Altrimenti lo "sciopero del video" sarebbe proseguito.

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