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ANSA/ ORIETTA SCARDINO
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Berlusconi e la lezione siciliana

Non è elegante citarsi, ma in questo caso ne vale la pena. A settembre, quindi oltre un mese e mezzo fa, a proposito delle elezioni siciliane scrivevamo: "Il centrosinistra è alle prese con un deserto identitario che ad oggi lo condanna a essere una comparsa e niente più nella competizione per l'elezione di novembre del presidente della Regione. Non aver voluto abiurare alla fallimentare esperienza incarnata dal presidente Rosario Crocetta e anzi aver accettato di tenerlo a bordo con il contorno degli ondivaghi centristi di Angelino Alfano ha trasformato il Partito democratico in quell'ibrido che è diventata l'Spd in Germania. Per il governo i siciliani pensano di affidarsi al centrodestra coeso e vedono nei 5 Stelle o nella sinistra estrema un'alternativa credibile. I sondaggi attribuiscono la vittoria al centrodestra seguito dai 5 Stelle e relegano il candidato voluto dal Partito democratico al terzo o ultimo posto addirittura dietro l'esponente della sinistra radicale. L'altissima percentuale di non votanti che si registra ad oggi nelle rilevazioni demoscopiche, prossima o superiore al 50 per cento, conferma da un lato come poco "affascinante" l'offerta dei candidati ma dall'altro sottolinea con crudezza il giudizio negativo su chi ha governato finora e cioè il Pd. La lezione che si dovrebbe imparare dalla débâcle di Schulz dovrebbe dunque spingere il centrosinistra a uscire da quel corridoio politico che collega Berlino a Palermo. Se non dovesse farlo, se non dovesse cioè avere il coraggio di recuperare una credibilità che appare offuscata, il rischio concreto è quello di un viaggio senza ritorno e soprattutto senza la possibilità di poter guadagnare un biglietto per Roma".

Sapete com'è andata a finire: ha stravinto Nello Musumeci, candidato di centrodestra, con oltre cinque punti di vantaggio su Giancarlo Cancelleri dei 5 Stelle mentre Fabrizio Micari del centrosinistra a trazione renziana è arrivato terzo più che doppiato (ha ottenuto il 18,5 per cento) dal vincitore. Quanto ad Alfano è sparito, umiliato nella sua terra al punto da non riuscire a mandare neppure un deputato all'assemblea regionale.

I votanti, infine, si sono fermati al 46,7 per cento. Tutto come previsto, dunque. Con una postilla non secondaria. Nel 1994 Silvio Berlusconi ebbe l'intuizione di riunire i moderati (ricordate la parolina "rassemblement") in un unico schieramento allargato a Lega ed ex Msi, schiacciò contro tutti i pronostici la gioiosa macchina da guerra degli ex comunisti e aprì la strada alla seconda repubblica.

Un quarto di secolo dopo, sopravvissuto a una mai finita caccia all'uomo e alla vigilia di una nuova tornata elettorale nazionale, Berlusconi è ancora qui a dimostrare con la lezione siciliana che è solo unendo le forze che il centrodestra vince e diventa forza di governo. Mettendo da parte velleitarismi ed egoismi.

Il Cavaliere sa bene che nella primavera 2018 non basterà vincere per governare ma occorrerà arrivare o superare il 40 per cento dei consensi per assicurarsi quel premio di maggioranza che è l'unica strada per garantire al Paese un esecutivo stabile al riparo da larghe intese assai difficili. Il risultato di Musumeci con il suo 39,8 per cento dimostra che si può fare.

Ultima annotazione. Berlusconi conta il terzo knock-out in un anno su Renzi: tutte le volte che il segretario del Pd, mai eletto in Parlamento e presidente del Consiglio grazie a una congiura di palazzo, è uscito dal teatrino della politica e si è misurato con il Cavaliere sul terreno reale dove si contano i voti, è sempre andato al tappeto. Prima il referendum costituzionale, poi le amministrative (è stata la tornata in cui è crollato anche il fortino di Genova) e adesso la Sicilia. È la democrazia, bellezza.

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