Politica
January 24 2022
Game over per Silvio Berlusconi? Per la sua ascesa al Colle sì, ma la cavalcata è ancora lunga. La politica italiana ha semplicemente frenato in questo weekend e i tempi si allungheranno. Silvio Berlusconi, come previsto, si sfila dalla candidatura alla Presidenza della Repubblica per mancanza di condizioni. Ciò non significa che il Cavaliere però si sia sfilato dalla partita, continuerà a giocare come attore decisivo a maggior ragione dopo la centralità politica guadagnata in questi giorni. Il nome di un candidato d’area da condividere con il resto del parlamento ancora non c’è. Nelle note stampa trapela un fugace “Draghi resti al suo posto” da parte di Forza Italia, ma subito dopo i tre partiti si sono affannati a spiegare che non ci sono veti su nessuno e nemmeno sul premier. Due deduzioni: Berlusconi prende tempo, guadagna spazio, vuole negoziare candidato ed eventualmente composizione del governo nelle prime tre votazioni; non c’è ancora un accordo definito sull’eventuale governo post-elezione di Draghi. Ieri per il premier sembrava cosa fatta, oggi è chiaro che servirà più tempo e altre opzioni sono aperte. Salvini e Meloni restano prudenti: hanno tolto di mezzo il Cavaliere, ma ora si deve cercare un nome condiviso, di centrodestra, da mandare in avanscoperta e nel frattempo continuare a trattare con tutti. Berlusconi potrà influire su questo nome, che però corre il rischio della bruciatura nei primi tre scrutini quando la maggioranza richiesta è 2/3. Il colpo di coda del Cavaliere non è da escludersi, che sia lui a tirare fuori Draghi o a lanciare un altro nome super partes nei dintorni della terza votazione per passare all’incasso alla quarta non è da escludere.
Dall’altro lato del campo, a sinistra, si intuisce che non c’è accordo per ora né con il centrodestra né interno. Letta è cauto, cerca un nome condiviso da tutti e un patto di legislatura. Il primo non c’è e forse non ci sarà per ancora tre-quattro giorni, mentre il secondo è tutto da costruire. Conte tace, impercettibile ed impacciato. Il Movimento non ha candidati e l’ipotesi Draghi fa venire il mal di testa al primo partito del parlamento che teme elezioni anticipate e dovrebbe eleggere il candidato antropologicamente più lontano rispetto alla sua origine populista. Renzi pure tace, ma è conscio che più si ingarbuglia la partita maggiore è il suo peso. Lo si capisce anche dal caso Riccardi. Cosa farà, dunque, il centrosinistra nelle prime tre votazioni se entro lunedì non si arriva ad una svolta? Nessuno lo sa, un nome di bandiera non c’è. Si andrà probabilmente in ordine sparso.
Draghi resta ancora la carta coperta di tutti, ma a questo punto difficile che venga giocata nei primi tre scrutini. Quella è la soluzione finale dopo il fallimento delle altre, mentre le trattative corrono su un doppio filo: governo e Presidente della Repubblica. Lo scenario si biforca. Se c’è accordo sul governo, allora per Draghi si apre la prateria; ma se questo accordo tarda o non si forma, la strada per il premier sale. Come sostituire il Presidente del Consiglio è il maggiore dei problemi perché questa legislatura pazza richiederebbe come atto finale un doppio carpiato su Quirinale e governo. A breve capiremo se i partiti saranno in grado di farlo. Altrimenti, spunteranno le rose di nuovi candidati. La sceneggiatura potrebbe essere la seguente: primi tre scrutini inconcludenti alla ricerca di un nome condiviso che non sia Draghi. Potenziali papabili tanti, ma nella pratica pochi, forse troppo pochi, per una coalizione così variegata. A quel punto o salta fuori il nome entro il quarto scrutinio, quando per legge la maggioranza passa da 2/3 alla metà più uno, oppure si torna a parlare dello spostamento del Presidente del Consiglio. Se il disaccordo persiste e i partiti falliscono resta la residuale ipotesi del Mattarella-bis, forse. C’è una variante a questo percorso, anzi due: nei primi tre scrutini si chiude l’accordo sul prossimo governo e si elegge Draghi al quarto giro senza patemi; oppure c’è un nome che passa a partire dal quarto scrutinio condiviso da una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo, ad esempio con un accordo tra partiti di centrodestra e Renzi. Opzione difficile perché metterebbe a repentaglio la vita del governo Draghi, ma non impossibile visto quello a cui ci ha abituato questa legislatura. La strada è ancora lunga e molto stretta.