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October 09 2012
Silvio Berlusconi ha inaugurato le primarie del centrodestra, esattamente come a sinistra si stanno svolgendo quelle del centrosinistra. Lo ha fatto dicendo quello che ha sempre sostenuto: i moderati in Italia costituiscono da sempre la maggioranza dell’elettorato, quindi per vincere devono solo restare uniti. La discesa in campo del 1994 servì a questo, a ricompattare i moderati che non si riconoscevano più nel pentapartito azzerato da Mani Pulite. Il Cavaliere si candidò a Palazzo Chigi per evitare agli italiani di finire sotto il governo dell’ex PCI. La “gioiosa macchina da guerra” con la quale Achille Occhetto si preparava a coronare un sogno di mezzo secolo s’infranse così contro la potenza di un messaggio che riuscì a conquistare la fiducia degli italiani.
Anche allora, prima di fare il grande passo, Berlusconi tentò in ogni modo di promuovere un’alleanza tra Bossi, Fini e Casini. Ma soprattutto Bossi e Fini erano ancora agli antipodi: secessionista il primo, nazionalista post-fascista il secondo. E poi c’erano i tanti moderati di piccolo calibro, anche se di “riconosciuto prestigio”, che pretendevano ciascuno di traghettare la Prima Repubblica nella Seconda (ricordate Mario Segni?). Solo quando fu del tutto evidente che i piccoli leader dei piccoli partiti di centrodestra non erano in grado tutti insieme di fare una coalizione vincente, Berlusconi ruppe gli indugi e si gettò nella mischia. E vinse.
E ora? Il suo obiettivo, oggi come nel ’94, è sempre quello di sconfiggere la sinistra attraverso la più larga coalizione possibile in campo moderato. Eccolo allora passare la mano ad Angelino Alfano, il segretario del PdL che aveva la mission di riconquistare Pier Ferdinando Casini (ma non c’è riuscito). Il Cavaliere si chiama fuori, si dice disposto a tutto, anche ad accettare Casini leader del centrodestra (lo ha detto a chiare lettere Alfano a Pierferdy), a stringere di nuovo la mano a Gianfranco Fini, a cooptare i Montezemolo e tutti gli altri, persino a promuovere (lo aveva del resto già fatto nell’intervista all’Huffington Post) il professor Monti come leader del fronte moderato e successore di se stesso a Palazzo Chigi. Ma tutto questo, a patto che Casini, Fini, Montezemolo e, dulcis in fundo, Monti accettino di guidare la coalizione. O, meglio, di sottoporsi al giudizio degli elettori come potenziali leader del centrodestra. Di fatto, sono le primarie.
Ecco quindi che Berlusconi, col suo passo indietro (il secondo dopo quello per il momento senza ritorno delle dimissioni da presidente del Consiglio) toglie qualsiasi alibi non solo ai tanti galli che continuano a beccarsi sperando di raccogliere l’eredità (o le briciole) del Cavaliere, ma anche ai big dello stesso PdL, Alfano in testa, ai quali tocca finalmente giocare la loro mano, liberi di dimostrare quanto valgono.
Poi, se Casini si sfilerà perché ormai ritiene che la scorciatoia per tornare al governo passi a sinistra, se Fini farà lo stesso anche perché non saprebbe altrimenti dove andare, se Montezemolo manterrà la decisione di sostenere le forze sane dei moderati senza impegnarsi in prima persona, e soprattutto se Alfano e gli altri big del PdL mostreranno di avere in mano al massimo una coppia vestita e nessuna capacità di bleffare, a Berlusconi, sempre che ne abbia ancora voglia, non resterà che candidarsi di nuovo. Con lo spirito ecumenico, disperato ma non necessariamente perdente del ’94.