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La vertigine barocca di Bernini

Le due mostre che si inaugurano in contemporanea a Palazzo Chigi in Ariccia il 6 dicembre, Bernini e la pittura del 600. Dipinti dalla collezione Koelliker e La carrozza berniniana del cardinal Chigi, entrambe aperte fino al 18 maggio 2025, sarebbero piaciute molto al compianto Maurizio Fagiolo dell’Arco, maestro di Francesco Petrucci che ne è il curatore, esaltano la poliedricità e l’eclettismo di Giovan Lorenzo Bernini, artista totale e dominatore assoluto del panorama artistico italiano del XVII secolo. Questo metteva in risalto la monografia sul «regista del Barocco» dei fratelli Fagiolo, ancora metodologicamente insuperata, pubblicata nel 1967.Bernini pittore, scultore e inventore di arti decorative ben figura nelle mostre e nelle opere conservate nel palazzo, mentre Bernini architetto è in esposizione permanente ad Ariccia grazie ai monumenti che qui ha lasciato, a partire dalla scenografica piazza di Corte con la chiesa Collegiata, le casine laterali del complesso berniniano (attualmente in restauro), l’esedra impostata come una quinta teatrale, lo stesso Palazzo Chigi ideato dal maestro come un ibrido architettonico, le porte urbiche, il Santuario di Galloro e altri edifici commissionati dal papa Alessandro VII e dai principi Chigi, completati in circa un decennio, tra il 1661 e il 1672.

La prima mostra rappresenta il ritorno di Luigi Koelliker, il quale oltre a sostenere iniziative culturali di ampio respiro e promuovere pubblicazioni, è probabilmente il massimo mecenate privato e collezionista vivente d’arte italiana, antica, moderna e contemporanea. Nella sua imponente raccolta, che spazia dalle arti decorative, alla scultura, alla pittura, è presente un nucleo consistente di dipinti del Bernini e della sua stretta cerchia, assieme ad altri che forniscono un quadro variegato della pittura barocca romana. Naturalmente non poteva esserci sede più adatta del palazzo di Ariccia, ove si conserva nella cappella al piano nobile lo stupefacente San Giuseppe con il Bambino, firmato e datato 1663, opera mista tracciata a sanguigna, carboncino, rifinita a guazzo e con il tocco delle dita, sorta di pittura monocroma, rarissima nell’esaltazione dell’amore paterno e non materno, come frequente. Tra i dipinti Koelliker spicca lo straordinario Autoritratto mentre disegna, in cui Bernini si ritrae non in una posa statica tradizionale, ma mentre pensa e crea, intento a trasferire su un foglio bianco in perfetta solitudine i propri pensieri più reconditi. Notevole il Ritratto del poeta Virginio Cesarini, che io stesso esposi in alcune mie mostre, proveniente dalla collezione del senatore Luigi Albertini, primo direttore del Corriere della Sera, passato poi ai suoi eredi e acquistato con buona intuizione da Koelliker ormai oltre vent’anni fa. Una rara aggiunta al catalogo di Bernini pittore è lo studio di nudo che Petrucci definisce Levantino sdraiato, perché probabilmente ritrae uno dei facchini turchi o armeni del porto di Civitavecchia o del porto di Ancona che Bernini usava come propri modelli, come dichiarò a Monsieur de Chantelou durante il viaggio in Francia del 1665. Vari disegni messi a confronto nel catalogo della mostra ne confermano l’assoluta autografia, avente un riferimento iconografico primario nel Galata morente dei Musei Capitolini.Ma tanti sono i quadri esposti in mostra, alcune veri capolavori, come un Cristo alla colonna attribuito a Bernini da Claudio Strinati e Petrucci, che fornisce un’inedita meditazione dell’artista sulla pittura di Tiziano, maestro che come scrisse Roberto Longhi ispirò la «corrente neo-veneziana» del barocco romano. Nella cerchia del Bernini compaiono pittori che furono suoi seguaci e stretti collaboratori, come Guglielmo Cortese detto «il Borgognone», autore di pale e affreschi in architetture del maestro, e Giovan Battista Gaulli detto «il Baciccio», suo vero alter ego in pittura.Tra i dipinti di maggiore impatto un Sansone che sbrana il leone di Giovanni Lanfranco proveniente probabilmente dalla collezione Altemps, chiaramente ispirato al Davide che sbrana il leone disegnato da Bernini (Louvre, Départment des Arts Graphiques) e tradotto da Claude Mellan in un’incisione pubblicata nel 1631 nei Poëmata di Urbano VIII, una sensualissima Venere con il pomo d’oro di Andrea Sacchi proveniente proprio dalla collezione Chigi, il tenebroso Battesimo di Cristo di Pietro da Cortona, opera della sua produzione più estrema, un monumentale Eraclito e Democrito di Giovanni Domenico Cerrini mai esposto al pubblico proveniente dalle collezioni di Casa Medici. Impressionanti due scene di banchetti degenerati in tragedia: il Convito di Assalonne di Niccolò Tornioli e il poco noto Alessandro Magno uccide Clito di Mattia Preti. Ma sono presenti anche tele di Pier Francesco Mola, Bernardino Mei, «Monsù Bernardo», Daniel Seiter, Giovan Battista Beinaschi, Girolamo Troppa. Un omaggio a Carlo Maratta, sul quale è appena uscita la tanto attesa monografia di Stella Rudolph curata da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, il Ritratto del cardinale Alderano Cybo, mentre il suo miglior allievo, Giuseppe Passeri, figura con il Ritratto del principe Urbano Barberini come cavaliere del Toson d’Oro esposta per la prima volta al pubblico nel 2006 in una mostra in Brasile.

La seconda mostra prende le mosse da un’importante acquisizione alle collezioni di Palazzo Chigi, la raffinata Cornice con tritoni e allegorie della Prudenza, in rame dorato, meritoriamente acquista recentemente dal ministero della Cultura e depositata presso la dimora chigiana di Ariccia. Modellata da Ercole Ferrata su disegno del Bernini, finemente lavorata al cesello dall’argentiere Francesco Perone, decorava con altre sei cornici la perduta «carrozza di velluto nero» che l’artefice aveva progetto nel 1657 per il cardinale Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII, servendosi della collaborazione per i disegni esecutivi del versatile Giovanni Paolo Schor.In questa originale e inconsueta mostra è esposto per la prima volta al pubblico un notevole piccolo Busto in bronzo di Alessandro VII opera del Bernini, proveniente originariamente da casa Chigi, modellato in cera dal suo autore nell’agosto 1657, come riporta il diario del papa, per essere fuso in metallo, in anticipo quindi rispetto al grande busto in marmo.Colpisce un’inedita Veduta di Piazza Navona di Filippo Gagliardi con sullo sfondo la Fontana dei Fiumi appena inaugurata, sorprendentemente assente la chiesa di Sant’Agnese in Agone i cui lavori di fondazione iniziarono nell’agosto 1652, che raffigura in primo piano forse lo stesso artista che si inchina di fronte alla carrozza dei principi Pamphilj, il loro palazzo sulla sinistra, che era molto simile a quella Chigi. È stato concesso in prestito dalla collezione Verdini di Roma, che ha sostenuto anche la bella mostra con un contributo. Figura tra le varie opere esposte lo sconvolgente Ritratto di Flavio Chigi in vestaglia, uno dei ritratti più stupefacenti e trasgressivi dell’intero XVII secolo.

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