Lifestyle
November 07 2012
A Vallelunga, dove tutto è iniziato, tutto finisce.
Max Biaggi ha scelto luogo e data, ha riunito gli addetti ai lavori più affezionati e li ha convocati sul circuito romano, quello che oltre venti anni fa lo tenne a battesimo, lui già ventenne.
Il mare si accende sotto il bagliore infuocato del sole che sorge. Il “Corsaro” lo osserva, quel mare e lo fotografa, dopo una notte difficile e insonne nella quale il frenetico rullio dei battiti del suo cuore emozionato gli nega il riposo.
"È un'alba molto diversa oggi per me... niente sarà come prima. Forza comunque!” scrive al suo popolo su twitter, insieme alla foto.
E' l'alba su un mare lievemente increspato e innocuo, finalmente osservato da terra, è il mare calmo e sereno di un nuovo giorno.
“Questa è stata per me la notte più lunga, ma sono contento di lasciare ora, non voglio essere come quei politici che non si staccano dalla propria poltrona”.
Sono le parole che Max si è detto e ripetuto come una litania nella sua lunga notte di fine carriera. Un po' forse per convincere se stesso che quel momento era arrivato, un po' per abituarsi all'effetto che fa.
Il coraggio di lasciare quando sei all'apice, nonostante i 41 anni. Un titolo di campione del mondo – il sesto – ancora tiepido tra le sue mani. La paura di avere presto nostalgia del coraggio che serve in gara, o nostalgia della paura stessa. Vittorie, sconfitte, allori, delusioni, infortuni, persone... Chissà quante immagini sono transitate davanti ai suoi occhi scuri, nella notte dell'addio!
A Max piaceva giocare a calcio. Non era uno di quei bambini predestinati a fare il motociclista già dalla nascita, di quelli con il babbo appassionato di moto o addirittura ex pilota, che mettono il figlio di tre anni in sella ad una minimoto.
Il suo esordio da motociclista fu tardivo rispetto agli standard odierni, un talento scoperto per caso semplicemente perché in moto viaggiava veloce.
Max iniziò infatti a 18 anni a fare qualche gara in 125cc su consiglio di un amico e l'anno dopo era già campione italiano Sport Production. Il successo cresceva anno dopo anno: a 21 anni passò nel mondiale 250cc con Aprilia e concluse la stagione al 5° posto e l'anno dopo su Honda concluse 4°.
Nel 1994 diventò campione del Mondo 250 e ci restò per altri tre anni portandosi a casa ben 4 titoli e inanellando una serie di record rimasti intatti, come il maggior numero di pole position e di podi nella classe 250 oppure l'aver vinto quattro mondiali consecutivi in 250 ma con due moto diverse (Aprilia e Honda).
Maturo per l'ovvio passaggio in 500cc (l'allora classe regina), il Corsaro sfiorerà il titolo di campione del mondo per ben due volte ma senza mai conquistarlo, nonostante una grande quantità di gran premi vinti; non ci riuscì nemmeno nei quattro anni successivi al 2002, quando la classe 500cc venne sostituita dalla MotoGP con moto 4 tempi da 990cc: un buco nella sua carriera senz'altro non facile da digerire.
A 35 anni si ferma per un anno, ha bisogno di riflettere sul da farsi. Forse è proprio l'ambiente Motomondiale che non gli piace più, l'aria si è fatta viziata: Max si sente a disagio, troppi nemici, troppe polemiche, la calorosa atmosfera di sempre sta cambiando e quel paddock non è più come una volta, perfino i tifosi non sembrano più quelli di un tempo.
Nel 2007 la decisione è presa: Max entra nel mondiale Superbike che lo accoglie a braccia spalancate, prima con Suzuki, poi con Ducati e poi in sella al suo vecchio amore, l'Aprilia, che non lascerà più fino alla fine. Nel 2010 vince il titolo di campione del mondo Superbike, un vero trionfo del tricolore 100% made in Italy: è il primo pilota italiano su una moto italiana, con gomme italiane (Pirelli) e sponsor italiani (Alitalia, Eni).
Poi, quest'anno, arriva il secondo titolo in Superbike.
Anche se sembra ancora un ragazzino dal fisico atletico e asciutto, Max ha 41 anni, ha il numero 1 sulla carena della sua Aprilia, una splendida moglie, due figli ed è felice.
Quella di Max Biaggi è una carriera troppo lunga e variopinta per essere snocciolata così, in poche righe. Il suo carattere diffidente e ruvido ha talvolta offerto il fianco all'endemica antipatia di pubblico e stampa. Ma se questo è vero, è vero anche che il suo innegabile talento sviluppato in tarda età ha generato incancellabili emozioni nei cuori internazionali degli appassionati di tutto il mondo che negli anni non hanno mai smesso di amarlo e di seguirlo. Presenti e uniti, nei momenti belli e in quelli più duri, noncuranti della pioggia, dei chilometri, della crisi economica mondiale.
E per tutti loro il Corsaro c'era e c'è stato fino al suo ultimo giorno da pilota. C'era, nei suoi duelli con Luca Cadalora o con Loris Capirossi. Sempre lui, con Valentino Rossi, tra sorpassi in pista e schiaffi ai box. C'era e c'è, nella garbata cortesia con la stampa, troppo spesso fomentatrice e ostile. Nei mondiali persi per gli errori, le squalifiche, gli infortuni. Nel braccio di ferro per ingaggi a volte troppo alti per ottenere un rinnovo di contratto. Nello stress prima della gara, nelle polemiche del dopo gara. Nelle mille donne belle, bellissime, che ha avuto, da Naomi Campbell a Claudia Schiffer a Anna Falchi. Max c'è nella stabilità dell'amore sincero di una donna e dei suoi frutti: Inés e Léon. Nella (tanta) beneficenza devoluta negli anni in silenzio, senza pubblicità o clamore. Nell'affetto incancellabile e sincero di chi lui oggi ha voluto avere vicino a sé per annunciare al mondo una cosa importante: il Corsaro scende alla prossima, Massimiliano Biaggi detto Max prosegue.
Chissà se il ritiro di oggi è stata una scelta ponderata da tempo o se esiste di fatto un'azione scatenante che più di ogni altra l'ha ricondotto a dare l'addio alla carriera?
Chissà che peso ha avuto in questa scelta assistere alla disfatta di altri campioni che, al contrario di lui, hanno voluto rimanere attaccati alla poltrona – o alla sella – e così facendo hanno opacizzato in maniera indelebile lo splendore del loro successo.
Chissà se quella autobiografia di Steve Jobs che tanto l'ha colpito nell'animo sia veramente riuscita ad intrufolarsi dentro di lui accendendogli una spia sulla vita? O se la tragica morte di uno stimato rivale come Marco Simoncelli gli ha schiaffato in faccia l'altra parte della vita. O forse la notizia che il prossimo anno il mondiale Superbike sarà di proprietà della Dorna, cioè del Motomondiale, ovvero di quell'ambiente dal quale negli ultimi sei anni ha consapevolmente deciso di stare alla larga?
Forse tutte queste cose, tenute insieme da un adesivo col numero 1 di Campione del mondo, gli hanno più semplicemente spiegato che la vita non è solo dimostrare talento, ma che vivere godendo dei propri affetti è anch'esso talento.