Bibbiano Reggio Emilia
(Ansa)
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Bibbiano: tolto ai suoi genitori,  violentato nella nuova famiglia

Una madre costretta dagli assistenti sociali a rivelare al figlio, di soli sette anni, che l’uomo che ha sempre creduto essere suo padre non lo è, in modo da disgregare gli affetti che cementano un nucleo familiare. Una psicologa che, per convincere quello stesso bambino di essere stato vittima di inesistenti abusi sessuali, prima si traveste da lupo cattivo e poi lo induce ad associare il patrigno a quel personaggio terrificante. Mentre quel bimbo viene affidato a un’altra coppia, e nella nuova casa subisce una vera violenza sessuale.

Al processo che a Reggio Emilia cerca la verità sui presunti allontanamenti illeciti dei bambini di Bibbiano, inquietudini nuove si mescolano ad alcune delle cupe storie già emerse nelle indagini preliminari. Le ultime udienze, nelle quali è stato ascoltato il maresciallo dei carabinieri, Giuseppe Milano, come teste del pubblico ministero Valentina Salvi, sono servite a rendere più chiaro il quadro accusatorio, e a tratti si sono trasformate quasi in psicodramma. Nell’ultimo interrogatorio, il sottufficiale ha descritto la storia di Matteo, uno di quei bambini. Figlio di una donna fragile e di un padre che se n’è andato prima della nascita, per sette anni Matteo vive accanto alla madre e al suo nuovo compagno, Luca, che lo cresce come un vero papà assieme a tre fratellini più piccoli. All’inizio del 2016, però, tutto cambia. Basta qualche segnale di disagio, a scuola, che spinge le maestre a una segnalazione ai servizi sociali di Bibbiano. È così che inizia il calvario di Matteo e della sua famiglia. Federica Anghinolfi, all’epoca responsabile dei servizi e oggi una dei 17 imputati del processo, segnala al Tribunale dei minori di Bologna il sospetto di abusi sessuali in famiglia: nel febbraio 2016, mentre parte un’inchiesta penale contro suo padre, Matteo viene allontanato da casa. Il bimbo viene affidato alle terapie di Nadia Bolognini, psicologa del Centro Hansel e Gretel fondato da suo marito Claudio Foti (altri due degli imputati: lui, in un procedimento separato, è già stato condannato a quattro anni di reclusione per le gravi lesioni psicologiche causate a un’altra piccola paziente).

L’accusa sostiene che la psicologa abbia indotto Matteo ad accusare il padre attraverso interrogatori pressanti e suggestivi, e perfino con recite nelle quali la terapeuta si finge il lupo cattivo, riuscendo a sovrapporre a quel personaggio l’immagine di Luca. L’accusa è convinta che i rapporti tra Matteo e la sua famiglia siano stati recisi scientificamente, con continue falsificazioni. Un’educatrice riferisce per esempio «le crisi di urla e pianto del bambino, disperato di non tornare a casa», ma l’Anghinolfi e un altro assistente sociale imputato, Francesco Monopoli, al Tribunale dei minori segnalano che Matteo è travolto da ansia quando nei rari incontri «protetti» vede sua madre, e tanto basta per escluderla dalla possibilità di riavere il figlio con sé. Matteo viene così dato in affido a un’altra coppia. La situazione si complica ancor di più nel giugno 2017, quando gli assistenti sociali spingono la donna a rivelare al figlio che Luca non è il suo vero padre. La scoperta traumatizza Matteo, al punto che non vuole più vedere la madre e comincia a riferire di nuove violenze, sempre più gravi.

Il paradosso forse più terribile di questa storia è che nel marzo 2018 la Procura di Reggio Emilia chiede l’archiviazione dell’inchiesta contro Luca per l’inesistente abuso sessuale sul figlio, ma esattamente un mese dopo Matteo – che in quel momento ha appena 8 anni - viene violentato da un diciassettenne, un parente della coppia cui è stato affidato. La violenza avviene nella casa che in teoria avrebbe dovuto proteggerlo dalla sua famiglia d’origine. È la stessa madre affidataria a scoprire quel fatto terribile e sconvolgente, che però nelle mani dei servizi sociali diventa una nuova occasione per accreditare la tesi che Matteo sia vittima delle oscene abitudini cui l’hanno costretto i suoi genitori. Senza specificare che l’abusante è quasi maggiorenne, Monopoli scrive infatti al Tribunale dei minori che Matteo «si è nuovamente coinvolto in atteggiamenti sessualizzati con un ragazzo minore», quasi suggerendo che la disponibilità a quel rapporto sessuale sia il risultato del vissuto familiare del povero bambino.

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