Biden, Putin, Meloni. Fiumi di parole in una guerra senza vincitori

Sono giorni intensi e caldi come mai quelli che si stanno vivendo in Ucraina e dintorni. E non solo perché siamo alle soglie del primo anniversario dell'invasione russa ma perché la concentrazione di visite, di capi di Stato o di Governo di discorsi e diplomazia non è forse mai stata così febbrile.Ieri la storica visita di Joe Biden a Kiev, la passeggiata per le vie del centro e quel preavviso dato a Mosca che è stata informata ed ha «lasciato fare» per galanteria ma anche per paura di un incidente che avrebbe fatto precipitare tutto e tutti. Oggi le parole all'Assemblea federale di Vladimir Putin. Un'ora e mezza di frasi e concetti già sentiti in questi 12 mesi con il solito riferimento alla minaccia nucleare ma anche minimi spiragli che gli analisti sono riusciti a cogliere. Il tutto in un clima imperiale si ma molto freddo, spento. Diversa l'aria che si è respirata poche ore dopo a Varsavia dove il Presidente Usa ha detto la sua tra bandiera, applausi e canzoni dei Coldplay in sottofondo.

I due hanno ribadito la solidità delle loro posizioni, contrapposte, che di fatto si annullano. Ma non si è potuto non considerare che i leader delle principali superpotenze mondiali (assieme alla Cina) hanno spiegato con maggiore forza più che il concetto di «vinceremo» quello di «il nemico non vincerà». Come un messaggio lanciato all'altro, e viceversa, in cui questa guerra viene raccontata come una partita a scacchi che viaggia in una fase di stallo totale (ma dove i morti sul campo ed il dolore della popolazione non manca mai) e che forse come unica via d'uscita ha la parità.

Non è un caso che domani ci sarà un nuovo incontro al Cremlino di assoluta importanza, forse ancora più importante degli appuntamenti di ieri ed oggi. A Mosca infatti è in arrivo il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, che, dopo aver parlato in settimana con i principali leader europei e Biden sembrerebbe aver pronto da consegnare a Putin un piano di pace composto di una dozzina di punti. Cosa contenga questo piano non è dato sapere ma forse solo Pechino ha la forza politica ed economica per convincere le diverse (e apparentemente distantissime) parti in causa a sedersi attorno ad un tavolo alla ricerca di una via d'uscita che non ha vincitori e vinti ma da cui tutti devono uscire in qualche modo contenti.

Ma per noi italiani la visita di oggi di Giorgia Meloni a Kiev non può non avere un posto in prima fila nelle riflessioni della sera. «L'Italia non intende tentennare in questa vicenda e non lo farà», ha detto il premier nella conferenza stampa al termine del colloquio con Zelensky. Una presenza che da sola ha un peso politico internazionale ma anche interno fondamentale. Giorgia Meloni non fa passi indietro, piuttosto li fa in avanti sulla sua linea europeista atlantista e filo ucraina. E poco importa se nell'opinione pubblica sembra che il sostegno a Kiev sia sempre meno gradito, soprattutto l'invio delle armi. E poco importa se uno dei leader della maggioranza, Berlusconi, pochi giorni fa ha detto «io con Zelensky non avrei mai parlato perché giudico molto ma molto negativamente il comportamento di questo signore». Frasi che hanno fatto traballare la maggioranza e che la Meloni non ha direttamente commentato, salvo recarsi di persona poi in Ucraina. Un viaggio che vale più di qualsiasi parola verso l'alleato.

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