Dal Mondo
June 23 2024
Il count down è iniziato e ora è alle battute finali. Il primo duello tv tra Joe Biden e Donald Trump è pronto. Sarà ospitato dalla CNN, che ha imposto regole severissime ai duellanti. Che le hanno accettate, compresi i microfoni “muti” durante l’intervento dell’avversario. Niente accavallamenti, insomma, e niente interruzioni. Ma mentre i media americani cavillano proprio sulle modalità con cui andrà in scena il primo vero passo verso le presidenziali Usa, a tenere banco (non solo su giornali, tv e social) sono le condizioni del presidente americano. La prova è in casa democratica c’è chi corre ai ripari e pensa a come “tutelarsi” in caso di vittoria (sempre meno improbabile) di Trump. La CNN ospita il durissimo commento di Dean Obeidallah, che tuona: «Don’t focus on bracing for a Trump win» («Non concentriamoci su come rafforzarci in caso di vittoria di Trump»), rompendo il tabù di un possibile ritorno di The Donald alla Casa Bianca per un secondo mandato.
L’opinionista spiega che «l’unico modo sicuro per prevenire un sovvertimento dell’equilibrio di governo, con una campagna di redistribuzione con i fedelissimi di Trump nelle posizioni chiave (…) è batterlo a novembre. Dobbiamo concentrarci sul fatto che i barbari sono fuori dal cancello, non pensare a come limitare i danni una volta che saranno dentro».
Eppure tra i Dem la preoccupazione è palpabile, soprattutto dopo le ripetute gaffes e defaillance di Biden, comprese quelle in occasione del G7 in Puglia. Il ritardo non motivato di 20 minuti, con Giorgia Meloni costretta a una battuta a denti stretti («Non si fanno aspettare le donne»), ma anche l’assenza alla cena di gala (troppo affaticamento per l’inquilino della Casa Bianca, reduce dalle celebrazioni del D-Day in Normandia?) e poi lo sguardo spaesato durante l’esibizione dei paracadutisti, con Meloni ancora una volta pronta (e costretta) a richiamare la sua attenzione nella giusta direzione sul prato di Borgo Ignazia.
Tutti segnali che preoccupano l’opinione pubblica statunitense e che si aggiungono a episodi analoghi registrati nei mesi scorsi e che diventano sempre più frequenti. Gli inciampi e le cadute sui palchi delle cerimonie o sulla scaletta dell’Air Force One, le gaffes come quando Biden ha sbagliato il nome del presidente francese Macron chiamandolo Mitterand o ancora quando ha confuso la guerra in Ucraina con quella in Iraq sono apparsi più che casi isolati. Non per niente Trump (fresco 78enne) è passato all’attacco, sfidando il quasi 82enne Biden a sottoporsi agli stessi test cognitivi che lui stesso esegue, per escludere che sia affetto da un principio di demenza.
«Servono per valutare le funzioni cognitive per esempio la memoria, la facilità di linguaggio, l’attenzione, o le funzioni motorie e percettive», premette il neuroscienziato Graziano Pinna, professore associato presso il Dipartimenti di Psichiatria della University of Illinois-Chicago College of Medicine. «Sono importanti per valutare le capacita cognitive umane in diverse età per monitorare cambiamenti a livello cognitivo oppure il declino di una persona. Consistono in una serie di test e attività che verificano la memoria, attenzione e concentrazione, e studiano la prontezza della risposta nel discriminare figure simili o nel reagire a stimoli uditivi o visivi. I test verificano anche il linguaggio e la capacita di risolvere enigmi logici, problemi e nel portare a termine un compito, insieme alla velocità con cui questo avviene», spiega l’esperto.
Potrebbero essere utili o importanti nel capire se una persona, soprattutto se ricopre un certo ruolo pubblico, politico e di responsabilità, sia adatta o all’altezza del compito che gli è affidato? La domanda ormai non è più un tabù, né tra la gente comune, né in alcuni “palazzi”. Le immagini del recente Memorial Day, a fine maggio, hanno fatto il giro degli Stati Uniti e del mondo. Mostrano Joe Biden a occhi chiusi, come se dormisse, durante il discorso del segretario alla Difesa Lloyd Austin. Ma già a febbraio il Wall Street Journal titolava «Biden shows signs of sleeping», citando i diversi discorsi pronunciati con una marcata lentezza, lunghe pause e voce fioca. Ma Pinna frena sulla eventuale “gravità” della situazione. «Proprio a febbraio 2024, il presidente Biden ha dimostrato estrema lucidità durante lo “State of the Union”, sotto gli occhi di tutto il mondo e anche nel rispondere prontamente ad avvenimenti durante la cerimonia, senza che questi fossero stati programmati o che potessero essere attesi in questa circostanza tanto formale – ricorda il neuroscienziato - Credo che questo possa togliere ogni dubbio sul suo stato cognitivo ed emotivo».
Ma allora perché tanta apprensione e, soprattutto, come si spiegano alcuni comportamenti? «Gaffes verbali e confusione di nomi possono essere il risultato di vari fattori: per esempio, elevati livelli di stress e distrazione, che possono capitare a chiunque soprattutto se si è esposti alla costante pubblica attenzione. Credo che entrambi, gli ultimi presidenti, abbiano offerto diversi esempi di distrazioni ed errori verbali». Eppure anche la stampa Usa, tradizionalmente più accondiscendente verso i candidati democratici, non manca di sollevare qualche dubbio. Dopo uno screening periodico a inizio anno, con cui lo staff medico presidenziale aveva dichiarato Biden assolutamente “fit”, “idoneo”, un altro report divulgato dai media lo descriveva come “hazy”, “fuzzy”, “faulty”, “poor” e con “significant limitations”, insomma con “confuso”, “appannato”, “difettoso”, “povero” e con “significative limitazioni”.
Se una certa rigidità muscolare e segni di lieve decadimento cognitivo sono un effetto fisiologico legato all’età e a varie circostanze che si attraversano nella vita, il nodo è quanto questi segnali rientrino in una soglia di normalità e quando no. «I test cognitivi, insieme alla storia clinica di un individuo e altri studi a livello clinico (e dunque non da osservazioni di gaffe durante esposizioni pubbliche) possono aiutare a inquadrare la situazione – spiega l’esperto di Chicago - In queste occasioni i leder politici sono sotto intenso scrutino e gaffe che possono capitare a tutti. In questo caso, però, sembrerebbe che influiscano di più diversi bias, che portano a percepire questi errori come “anomale” visto il ruolo di leadership di chi è esposto al pubblico».
Il banco di prova, però, sarà proprio il confronto tv del 27 giugno perché l’eloquio rappresenta un potenziale segnale da monitorare. Per questo Trump insiste con la necessità di ricorrere a test cognitivi per il suo avversario alla vigilia del faccia a faccia seguito da milioni di elettori americani e osservatori internazionali. I due candidati alla presidenza statunitense, infatti, si confronteranno per 90 minuti, senza poter usare appunti, né avvalersi dei collaboratori durante le pause pubblicitarie: saranno fondamentali concentrazione, preparazione, improvvisazione, ma anche la memoria e la dialettica.
«Inviterei alla cautela, quindi, nel trarre conclusioni veloci sullo stato mentale cognitivo ed emotivo di un individuo solo sulla base di semplici performance pubbliche o singoli episodi. Detto questo, sarebbe buona norma introdurre test che valutino non solo l’aspetto cognitivo, ma anche lo stato emotivo e psichiatrico di chi si appresta a prendere un ruolo tanto elevato come diventare il presidente degli Stati Uniti», conclude Pinna.