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December 11 2015
In occasione del festival BilBOlBul a Bologna, ho incontrato il fumettista Alessio Spataro per parlare del suo bel romanzo a fumetti “Biliardino”, edito da Bao Publishing.
Chi è Alessio Spataro?
Sono autore di fumetti e satira dal 1999. Lavoro anche nel campo dell'illustrazione per l'editoria di varia. Vivo e lavoro a Roma da quindici anni, anche se sono di Catania. “Biliardino” è il mio primo libro come autore unico. Dopo un lungo periodo in cui ho fatto quasi solo libri satirici, per la prima volta esco come autore unico con un libro a fumetti lungo, dopo diversi anni di assenza. L'ultimo altro mio libro a fumetti è stato “Zona del silenzio” per Minimum Fax. Spero che “Biliardino” sia il primo di una lunga serie perché mi va di mettere da parte, per quanto più tempo possibile, il settore satirico.
A questo punto è doveroso chiederti di spiegare al lettore di cosa parla “Biliardino”. Come sintetizzeresti il libro per chi non lo conosce?
È una triplice biografia. È la biografia di un personaggio, che io amo definire il papà del biliardino, perché l'ha costruito e l'ha curato fino alla fine come se fosse un figlio nel corso dei decenni. È la biografia del gioco stesso del biliardino e poi anche una biografia, se mi passate il termine, del secolo scorso, del contesto storico che il protagonista ha vissuto attraverso le sue fughe, i suoi esili, i suoi viaggi, costretto a scappare alla repressione franchista. Il Novecento si eleva quasi allo stesso livello dell'uomo e del gioco: è sia protagonista che contesto stesso, o pretesto narrativo.
Qual è stato lo spunto che ti ha fatto imbarcare nella realizzazione del libro? È stato il biliardino, la scoperta di questo personaggio… di cui però non abbiamo ancora detto il nome per intero! Qual è?
È Alexandre Campos Ramirez, un antifascista spagnolo, galiziano. Nei primi mesi della guerra civile spagnola, quindi alla fine del 1936, viene ferito a una gamba e nel posto in cui viene ricoverato, decide di costruire l'equivalente del calcio su un tavolo, il “fùtbol de mesa”. Osserva i ragazzini ricoverati in una colonia per mutilati e feriti di guerra minori e vede quelli più gravi, senza una gamba, che non potevano giocare a pallone come i loro coetanei un po' più fortunati. Quindi in modo rudimentale e usando materiale difficilissimo da reperire in quel periodo e in un paesino sui monti a 30 Km da Barcellona dove era, costruisce un biliardino elementare che però è molto simile a quello che conosciamo noi oggi. È alto, non separato dalle gambe del tavolo, con gli omini con una gamba sola, con un blocco unico e fatto quasi solo di legno.
Cosa ti ha fatto decidere di fare un libro sull'argomento, tralaltro voluminoso?
La curiosità di indagare sul personaggio, che mi incuriosiva per le sue vicende avventurose. Ho saputo di lui soltanto al momento della sua morte, nel febbraio del 2007, perché dei siti di informazione italiani riportavano la notizia dalla Spagna. In un'unica figura era riassunto tanto di ciò che mi incuriosisce e mi appassiona: il gioco del biliardino, ma anche la contemporaneità di questo personaggio con le vicende del secolo scorso. Era nato nel 1919 in Galizia e morto in Spagna, dove era tornato dopo la morte di Franco, dopo un lungo esilio soprattutto in America Latina.
Quando hai cominciato a lavorare al libro?
L'idea mi è venuta in mente subito. E più o meno a partire dal 2011/2012 ho cominciato a tirare giù un soggetto, una trama e un minimo di struttura, dopo due anni e mezzo di sola documentazione, di interviste a personaggi amici suoi, spagnoli che l'hanno conosciuto, fatte per telefono, per Skype, in maniera totalmente improvvisata, o con un passaparola che tralaltro è stato anche fortunoso. In seguito ho fatto la sceneggiatura, in pochi mesi, e poi il disegno, che mi ha portato via due anni almeno. Nel frattempo ho avuto anche altri lavori ma è stata una grossa produzione, anche perché era la prima volta che mi cimentavo con un lavoro così corposo… sono 268 pagine di fumetto, di cui due non mie. A metà del libro c'è una svolta nella storia e ho chiesto di farle rappresentare a una bravissima illustratrice mia amica, Rita Petruccioli. Mi serviva rappresentare l'unico sogno di Alexander Campos Ramirez quando nella sua prima fuga importante da clandestino decide di scappare dalla Legione Straniera spagnola, dov'era praticamente recluso, e decide di cambiare nome, di appropriarsi di questo pseudonimo che è il nome con cui è più famoso e cioè Alejandro Finisterre.
Alejandro o Alexandre?
Alejandro Finisterre, in onore al suo luogo di nascita, perché lui è di Fisterra. E Alejandro perché, e questa è un'intuizione mia, tutti i nomi che avevano delle connotazioni regionali si normalizzavano nei primi anni del franchismo.
Ma è Fisterra o Finisterre? Sembra l'uomo dai mille nomi.
Ed è soltanto uno dei tanti. Quando torna in Spagna, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, decide di firmarsi anche con altri pseudonimi. Ma solo per un vezzo. Negli anni Settanta come Simplicio Revulgo diffonde libri in modo clandestino, anche rischiando la vita. Si tratta di libri di autori esiliati di cui lui in America Latina, in Messico, diventa uno degli editori di punta, e che distribuisce con un timbro che invita alla diffusione clandestina e alla disobbedienza al franchismo.
Ramirez/Finisterre ricorda la figura letteraria del narratore inattendibile. Visto che di molte vicende la fonte primaria, o anche unica, è lui stesso, secondo te che percentuale di realtà e finzione c'è nei fatti narrati in “Biliardino”?
Ti potrei dire un 50 e 50 percento ma riguarda non soltanto Finisterre e la sua vicenda personale, le fonti che lo riguardano, ma anche il biliardino e tantissimi fatti storici che non hanno a che fare direttamente con lui, in cui c'è sempre questo aspetto misterioso che è incalcolabile.
Nel libro incontriamo tutta una serie di figure: da Léon Felipe, poeta di cui Ramirez/Finisterre diventerà esecutore testamentario, a Jean-Paul Sartre, da Neruda a Frida Kahlo. Hai cercato di inserire il più possibile figure importanti, di narrare anche la storia degli intellettuali, della cultura del secolo scorso?
È stato un desiderio mio. Molto spesso quando ho fatto libri satirici mi è capitato di descrivere in modo arrabbiato, da deluso, soprattutto chi era più vicino alla mia posizione politica. In “Biliardino” mi sono sbizzarrito, mi sono divertito a usare questo stesso metodo per prendere un po' in giro, fare un po' il verso di queste figure leggendarie della letteratura, o anche della politica stessa, come ad esempio Sartre o Ernesto Guevara che descrivo come fa Paco Ignacio Taibo nella sua biografia, un giovane colto, antifascista, molto motivato, però comunque un bulletto che nei suoi diari parla in modo abbastanza scurrile delle donne, insomma una persona normale…
…che però nel tuo fumetto perde a biliardino giocando con Ramirez/Finisterre
Di questo è sempre fonte Alejandro Finisterre, che raccontava spesso quando era in vita che in Guatemala negli anni Cinquanta giocava nella Casa de España, che era la sede della Spagna Repubblicana in esilio. Lì si ritrovavano tutti questi dissidenti politici, soprattutto dell'America Latina, e lui, Alejandro Finisterre, racconta che batte a biliardino Ernesto Guevara, ma si fa battere da Hilda Gadea, che era la compagna di allora di Guevara.
Rappresenti Franco e il franchismo come una specie di mostro bluastro, che ogni tanto esce fuori dietro i personaggi, che straborda.
Sì, è un po' una licenza grafica quella di descrivere il nemico del protagonista in modo totalmente grottesco. Quella che si vede nel fumetto è una figura che ho copiato da due incisioni di Picasso fatte nel 1937, poco prima della realizzazione di “Guernica”. Si chiamano “Sueño Y Mentira de Franco” che rappresentano una delle cose di Picasso che più si avvicina al fumetto. Sono due tavole con una sequenza di immagini di Franco rappresentato in quel modo grottesco, deforme e mostruoso, a volte vestito da donna, a volte con un pene enorme, in modo totalmente scurrile o sanguinolento, che uccide il toro che rappresenta la Spagna.
Nei tuoi lavori precedenti hai usato perlopiù il solo bianco e nero. In “Biliardino” invece ci sono i colori, e sono due colori specifici.
Sono il rosso e il blu, che sommati danno una specie di bordeaux molto scuro, più simile al marrone che al bordeaux, e che sostituisce la china degli originali. Questa bicromia richiama ovviamente il colore degli omini del modello di biliardino più diffuso, ma soprattutto rappresenta i momenti di tensione differenziandoli rispetto ai momenti di quiete, di calma, oppure le fazioni politiche, le bandiere nazionali, gli schieramenti avversi politici o militari.
C'è una scena in cui tra le truppe al fronte un poeta declama dei versi e a un certo punto un soldato dei Repubblicani spara. Quando spara e (presumo) uccide un fascista il colore…
Il colore dello sfondo è il rosso.
Invece quando i fascisti rispondono al fuoco il colore è il blu. Come mai questo il blu per i fascisti?
Intanto il blu è paradossalmente il mio colore preferito. Però il blu, in quel caso, ha rappresentato bene i franchisti, perché la divisa dei falangisti spagnoli è la camicia blu. I volontari che poi vengono chiamati a lottare al fianco di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, in quel contesto storico abbastanza vergognoso che è stata la fintissima neutralità della Spagna… erano talmente tanti i volontari spagnoli che formarono addirittura una divisione. E siccome avevano questa divisa con la camicia blu da falangisti, questa massa enorme di persone veniva chiamata la División Azul, la Divisione Blu.
Hai scelto sin dall'inizio di usare due colori?
Sì. Sapevo che questo fumetto non andava fatto né in bianco e nero, né in quadricromia, né con un'altra bicromia. Questi erano i colori perfetti per rappresentare tutto.
“Biliardino” è un volume brossurato con alette di 296 pagine in bicromia. È pubblicato da Bao Publishing che lo propone a 21 Euro.
Si ringraziano Hamelin Associazione e Serena Di Virgilio per la collaborazione nella realizzazione dell'articolo.