Musica
May 08 2019
"In lei ci identifichiamo": è questo il mantra ripetuto ad ogni latitudine dai fan di Billie Eilish, la diciassettenne di Highland Park, Los Angeles, che ha messo a soqquadro il music business, diventando l'icona e al tempo stesso la portavoce della Generazione Z. Il primo posto in sessanta Paesi, Italia inclusa, con il disco d'esordio, When we fall asleep, where do we go? è solo la punta dell'iceberg del fenomeno Eilish che su Instagram ha superato i 15 milioni di follower.
Lei, come i Nirvana di Kurt Cobain, appartiene a quella rara specie di artisti che ogni due-tre decenni ridefinisce le regole del gioco e l'immaginario collettivo sgretolando le certezze del marketing musicale. La prima regola che Billie ha sovvertito in una manciata di mesi è che per sfondare a diciassette anni non è indispensabile essere una sexy adolescente con la silhouette d’ordinanza, magari griffata dalla testa ai piedi e ricoperta di make up. La seconda è che si può diventare famosi con la musica anche senza aver fatto parte del cast di qualche sitcom patinata per ragazzini.
"Non sono nata ricca, non sono cresciuta a Beverly Hills, ma nella periferia di Los Angeles dove, dopo le sette di sera, si respira la paura" racconta nelle interviste. Affascina il personaggio, questo è indubbio, ma dietro il più clamoroso debutto degli ultimi dieci anni c’è qualcosa di più profondo, qualcosa che per una volta riguarda la proposta musicale e il modo in cui viene presentata. Piacciano o meno, le canzoni della Eilish suonano diverse da tutto quello che c’è in giro perché sono un mix inestricabile di generi diversi, il frutto di migliaia di ore di ascolti random, privi di qualsiasi coerenza: dai Beatles a Lana Del Rey, a The Weeknd, dalla musica elettronica al rap, al jazz. Non solo: in un contesto dove le popstar ormai da anni costruiscono carriere sul successo e sulla promozione di un singolo brano alla volta, lei è andata in direzione opposta e contraria puntando nello stesso momento su otto-nove canzoni inedite. E i numeri le hanno dato clamorosamente ragione.
L’altro e non meno importante punto di rottura sta nei contenuti delle canzoni, ovvero quanto di più distante ci possa essere dalle frivolezze e dagli ammiccamenti del sexy pop da classifica. Sogni dark, ansie generazionali da cameretta, il dolore per la perdita di un amico (Bury a friend), le delusioni d’amore sviscerate in Wish you were gay e il rifiuto senza appello di qualsiasi droga: sono questi i temi cari alla Eilish, che nelle strofe del brano intitolato Xanny fa completamente suo quello che negli Stati Uniti viene definito ‘teen sobriety trend’. “Non mi drogo e non bevo, ho cose infinitamente più interessanti da fare nella vita che ubriacarmi o imbottirmi di pasticche. Tengo molto alla mia salute e a quella dei miei amici”.
Ha spiazzato tutti questa fanciulla dai capelli a strisce blu e viola con le dita ricoperte da anelli gotici, che non ha mai acquistato un compact disc in vita sua (per lei la musica esiste solo online), ma che in sette giorni ha venduto più di quindicimila vinili a un pubblico evidentemente ben più adulto di lei, incuriosito da questa ‘talentuosa aliena’ dalla voce sottile ma carismatica, che si è impossessata delle classifiche e dell’attenzione dei media mondiali senza avere alle spalle un produttore di grido, un parente famoso nello star system e nemmeno uno stilista, visto che progetta e disegna ogni dettaglio della sua immagine.
Quello della Eilish è un family business nel senso stretto del termine. Lei scrive tutte le canzoni (a cominciare dal primo successo, Ocean Eyes, pubblicato sulla piattaforma SoundCloud nel 2015 e diventato virale in poche ore) e il fratello ventunenne, Finneas, le produce nel tinello dell’appartamento di famiglia sotto gli occhi increduli dei genitori, due attori che nella loro carriera hanno racimolato piccole parti nei teatri della California. E che adesso convivono con la più anomala delle celebrità, quella che tutti i magazine di spettacolo del mondo definiscono il futuro della musica.