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August 30 2018
La questione del genocidio della minoranza musulmana dei Rohingya nel nord della Birmania (Myanmar) è lontana dal dirsi conclusa.
Le 20 pagine di rapporto stilato dalla commissione indipendente dell'Onu sono, infatti, state respinte dal governo nazionale che ha ricordato che la Birmania "Non ha concesso alla missione Onu di entrare nel Paese, ed è per questo che non concordiamo e accettiamo qualsiasi risoluzione fatta dal Consiglio per i Diritti umani".
Il documento reso pubblico lo scorso 26 agosto è frutto della raccolta di quasi 900 testimonianze registrate tra i superstiti del massacro di 700.000 persone dello stato di Rakhine.
Chi non è stato ucciso è fuggito nel vicino Bangladesh e ha raccontato di bambini gettati vivi nel fuoco, di donne struprate per giorni davanti ai propri figli, di uomini prima torturati e poi uccisi, di gole tagliate, arti mutilati o ogni genere di abominio che l'essere umano sia capace di perpretare ai danni del prossimo.
Adesso che le conclusioni sono state tratte l'Onu ha chiesto che il capo dell'esercito del Myanmar, il generale Min Aung Hlaing e altri alti funzionari militari vengano processati per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra contro i Rohingya".
Nel testo si legge: "La necessità militare non giustifica mai l'uccisione indiscriminata, lo stupro di gruppo, l’aggressione dei bambini e la distruzione di interi villaggi".
E poi prosegue asserendo: "Le tattiche del Tatmadaw (ovvero l'esercito del paese) sono state sproporzionate rispetto alle minacce alla sicurezza, specialmente nello stato di Rakhine, ma anche nel nord del Myanmar (…) Il disprezzo del Tatmadaw per la vita umana, l'integrità e la libertà, e per la legge internazionale in generale, dovrebbe essere motivo di preoccupazione per l’intera popolazione".
Per questo l'ONU mette a disposizione il documento a chiunque voglia procedere contro il sistema birmano e persino contro la stessa leader Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991, ritenuta corresponsabile del genocidio perché, si legge nel documento, avrebbe la colpa "Di non aver utilizzato la sua posizione de facto di capo del governo, né la sua autorità morale, per contrastare o impedire il dipanarsi degli eventi contro i Rohingya. Con atti e omissioni - continuano gli investigatori Onu - le autorità civili hanno contribuito al fatto che venissero commessi crimini atroci".
La commissione che assegna i premi Nobel, però, ha fatto sapere che il riconoscimento non si può ritirare. Nonostante questo l'Alto commissario Onu per i diritti umani uscente Zeid Ràad Al Hussein ha sottolineato che l'atteggiamento della leader birmana è stato "deplorevole" in quanto Aung San Suu Kyi "Avrebbe potuto restare in silenzio o, meglio ancora, avrebbe potuto rassegnare le dimissioni".
E poi il commissario ha aggiunto: "Non c'era alcun bisogno che lei fosse il portavoce dell'esercito birmano. Non era costretta a dire che si trattava di un iceberg di disinformazione. Erano menzogne".
Il Governo, dal canto suo ha fatto sapere di aver istituito una propria commissione d'inchiesta indipendente che risponderà alle "False accuse fatte dalle agenzie Onu e altre comunità internazionali". La versione ufficiale, sostenuta anche da San Suu Kyi è che l'esercito ha reagito agli attentati di matrice islamica perpetrati ai danni della maggioranza buddista.
Eppure i dati raccolti dall'Onu sembrerebbero più che credibili con testimonianze dettagliate e nomi dei protagonisti del massacro Rohingya.
Tra i funzionari statali più feroci ci sarebbe anche Aung Thein Mya, l'amministratore responsabile di diversi villaggi tra cui Chut Pyin, un intero paese raso al suolo il 27 agosto 2017 durante uno dei più duri attacchi alla popolazione Rohingya. A parlare di lui è il New York Times che cita la testimonianza di uno dei sopravvissuti alla strage, Mohammad Hossain.
Hossain ha spiegato che, dopo anni di oppressioni e abusi proprio l'amministratore locale, Aung Thein Mya, ha guidato uno dei più efferati massacri della storia della Birmania.
Dopo anni di scomodissima convivenza tra le comunità buddiste e musulmane locali sotto il dominio politico dei generali negli ultimi decenni, i buddisti Rakhine come Aung Thein Mya hanno avuto il sopravvento nello stato, occupando la maggior parte delle posizioni amministrative locali e dominando i Rohingya, che nel corso dei decenni sono stati privati della loro cittadinanza e libertà di movimento.
Preparare il massacro è stato un lavoro lungo e capillare.
Prima i Rohingya sono stati vessati da ogni tipo di tassa, poi sono stati privati di ogni forma di arma con cui potersi difendere, sono stati privati delle più basilari misure di attacco e infine sono stati fiaccati in mesi di massacri che avrebbero portato alla morte di oltre 700.000 persone.
In questa cornice di odio medievale Aung Thein Mya avrebbe agito da signorotto ponendosi alla guida dell'esercito e praticando in prima persona torture di ogni genere (gli uomini venivano chiusi in stanze buie per giorni con mani e piedi legate e poi ustionati con tizzoni ardenti, costretti al digiuno e mutilati di occhi e unghie).
Gli stupri, in particolare, erano all'ordine del giorno e le donne venivano spesso violentate davanti ai loro stessi figli che poi venivano sgozzati. Sebbene Aung Thein Mya abbia sempre respinto ogni accusa il rapporto dell'ONU e le molteplici testimonianze dei rifugiati Rohingya mettono proprio Aung Thein Mya nella lista dei funzionari statali maggiormente responsabili del massacro dei Rohingya.
Il documento elaborato dall'ONU (che ha informato con anticipo il governo birmano delle conclusioni senza ricevere risposte in merito) è unico nel suo genere perché, sebbene da tempo associazioni come Medici Senza Frontiere o Amnesty International stiano denunciando i massacri operati dalla maggioranza buddista ai danni dei musulmani che vivono al confine con Bangladesh, nessuno era ancora riuscito a stilare un documento organico con testimonianze e registrazioni dai satelliti artificiali dei massacri del territorio.
Secondo il rapporto l'esercito del Paese, ma anche le maggiori organizzazioni di sicurezza, vanno ritenuti responsabili di un genocidio del quale l'ONU chiede che vengano date risposte. "I principali generali della Birmania, compreso il comandante in capo Min Aung Hlaing - si legge - devono essere oggetto di inchieste e processi per genocidio nel nord dello stato di Rakhine, oltre che per crimini contro l’umanità e crimini di guerra negli stati di Rakhine, Kachin e Shan".
La lista dei nomi degli ufficiali è completa e a disposizione di qualsiasi organismo credibile che intenda procedere penalmente: si fa riferimento alla Corte penale internazionale (ICC) o a un tribunale speciale che secondo le Nazioni Unite dovrebbe essere istituito per l’occasione.