Tecnologia
March 13 2018
Bitcoin giù, blockchain su, il futuro della criptomoneta è incerto. Se il soldo del web vive un periodo di forti alti e bassi (attualmente vale circa 8 mila dollari dopo il picco di qualche mese fa oltre i 19 mila) la logica della catena di valore ha preso piede anche al di là dei salotti economici.
Spiegare cosa sia oggi il bitcoin non è semplice. L’interesse intorno alla moneta è tale da far pensare a chiunque di poter diventare milionario nel giro di qualche settimana, al più un paio di mesi.
Niente di più falso. Chi ha scommesso sulla criptovaluta tempo fa oggi può effettivamente ritrovarsi tra le mani un tesoretto ma solo se ci ha scommesso un bel po’ di soldi, di certo non mille euro.
Del resto lo sappiamo, più andiamo avanti più i bitcoin diventano un qualcosa di immaginario, una moneta che svanisce, un valore economico per pochi eletti. Il motivo è semplice: i calcoli numerici alla base della piattaforma hanno decretato che prima o poi ci saranno 21 milioni di bitcoin al mondo, il loro limite, oltre il quale non si potrà andare. Come l’oro, a quel punto il soldo per tutti sarà una ricchezza per pochi, l’esatto contrario di quanto oggi predicano i fautori, i cosiddetti coiner.
Si ma non una come le altre. Le montagne russe a cui ci ha abituato fa del bitcoin un nuovo concetto di bolla, da analizzare negli anni a venire. Un recente studio della Anglia Ruskin University, istituto dal nome sconosciuto ma vicino alla fama di Oxford e Cambridge se si tratta di economia, ha sentenziato che i bitcoin sono diventati una bolla nel febbraio del 2017, quando il loro valore ha superato i mille dollari per la prima volta dal 2013.
Le metriche che fanno della criptovaluta il più grande rischio della digital economy sono tre: la difficoltà di minare (ottenere soldi tramite il proprio computer o una rete organizzata), la velocità del processo di creazione della moneta, la volatilità dei ricavi.
Robert Shiller, Premio Nobel per l’Economia nel 2013 è chiaro quando afferma che i bitcoin sono una bella idea, che non entrerà mai a far parte stabilmente del sistema finanziario globale. “Tendo a pensare ai bitcoin come a un esperimento. Interessante per carità ma non una caratteristica permanente delle nostre vite” - ha detto al World Economic Forum di Davos di fine gennaio.
La gente pensa di poter lasciare il computer acceso che conia i bitcoin mentre sta solo sprecando corrente. Anzi, per Digiconomist, il consumo annuo per la minazione ammonta allo 0,13% di tutta l’energia mondiale. Se i coiner fossero una nazione, si piazzerebbero al 64esimo posto dell’attuale classifica dei paesi che usano più energia, davanti al Marocco per intenderci. Rischio fallimento, spreco energetico, mercato instabile. C’è al momento un trend più ridicolo di questo a cui le persone vanno dietro senza ragionare? Probabilmente no.
Più o meno la stessa conclusione a cui arriva Bloombergche etichetta i bitcoin come una sorta di parodia dei processi finanziari tradizionali. Cosa distingue i banchieri classici dai futuri milionari della blockchain? Nulla. I primi sono figli di un sistema centralizzato, gli altri di un paradigma, quello della blockchain appunto, che arricchisce chi ha un computer più potente, chi si organizza in gruppi, chi spende denaro per affittare serverfarm, veri e propri eserciti il cui unico scopo e risolvere complessi calcoli da cui ottenere moneta. È la stessa, identica, logica oligarchica, che crea un dislivello di classe.
Eppure proprio la blockchain potrebbe essere l’elemento dirompente da salvare, non solo in campo economico. Al di fuori del contesto dei bitcoin, la catena di valore è un concetto destinato ad avere successo. Prevede l’esistenza di vari soggetti, cioè computer, che si pongono come nodi della suddetta catena. Questa chain di blocchi ha il compito di ospitare i codici unici delle transazioni, che si tratti di scambi di denaro piuttosto che del trasferimento di documenti tra pubbliche amministrazioni, analisi mediche tra ospedali e ogni altra sorta di informazioni sensibili.
I singoli utenti, tramite software specifici (come Bitcoin Core), contribuiscono a creare la catena ma non possono leggere i dati che viaggiano in essa perché sono crittografati, cioè leggibili solo da mittente e destinatario. Se la blockchain fa da vettore, a controllare la validità dei membri e degli elementi passati sono i coiner o i miner nel caso dei bitcoin che, con i PC, effettuano i calcoli di analisi e certificazione, alla fine dei quali ottengono il premio, i soldi appunto.
Vista in maniera più ampia, il procedimento della blockchain può davvero salvare alcuni ambiti digitali, in cui la correttezza e la trasparenza delle informazioni è a rischio. Un ultimo esempio è quello della diffusione delle fake news. Con un processo di verifica decentralizzato, che non dipende cioè dagli interessi di qualcuno, sarebbe possibile, ancorché utile, mettere in piedi un circuito di validazione veloce delle notizie che circolano in rete.
Pensiamo a fact-checker professionisti, che guadagnerebbero dal lavoro di accertamento delle fonti, e a una community di blocchi a catena che potrebbe fermare il diffondersi delle bufale prima che giungano su Facebook e Twitter. A pensarci bene l’idea ha un potenziale concreto e sarà per questo che Userfeedsl’ha già messa in pratica.