Economia
September 18 2017
La bolla dei bitcoin, la prima e più nota criptovaluta (o moneta digitale) in circolazione, è scoppiata.
A dirlo, senza mezzi termini, è stato Jamie Dimon, numero uno di JP Morgan, la banca d'affari americana più importante al mondo: "Il bitcoin è una truffa" e "farà una brutta fine".
Prima o poi sarebbe finita e questo lo sapevano tutti: i valori raggiunti dalla criptovaluta erano (e sono) fuori dal mondo, con percentuali di crescita a tre zeri. Questa volta però il castello di carte non è crollato da solo: a dare una "spintina" sono stati in tandem le autorità cinesi e le grandi banche.
Le parole di Dimon non sono che il colpo di grazia. A lanciare le cannonate per abbattere questo mercato è stata infatti la Banca Popolare della Cina che ha dichiarato poche settimane fa illegali alcuni tipi di transazioni con le valute virtuali, le Ico (Initial coin oiffering, una sorta di finanziamento a start-up e imprese tramite bitcoin e simili), ordinando così il blocco di questo mercato.
Detto fatto: ViaBtc China e Btcc, alcuni dei principali operatori di criptovalute nella terra dei mandarini, hanno annunciato la sospenzione del traffico in criptovalute dal 30 settembre.
Eppure fino a pochi giorni fa comprare bitcoin era (ancora) l’affarone del secolo: da inizio anno era cresciuto di oltre il 500 per cento fino ad arrivare ad essere scambiato a 5.000 dollari; quattro anni fa per comprare un bitcoin ci volevano poco più di 500 dollari.
Dopo le prime indiscrezioni sulla decisione delle autorità cinesi, le parole di Dimon il 15 settembre hanno affondato il bitcoin: in poche ore la regina delle criptovalute ha perso addirittura il 40 per cento crollando poco sotto i 3.000 dollari.
Ricordiamo che le criptovalute - ne esistono circa 900 e le più note sono appunto bitcoin, ethereum e ripple - sono valute "solo digitali": non esistono fisicamente e, quindi, non sono stampate da una banca centrale come le valute tradizionali.
Esistono, insomma, solo sul web, dove sono create grazie a particolari algoritmi, che si basano su una tecnologia detta blockchain, che permette di creare e gestire un enorme mole di dati su tutte le transazioni effettuate, una sorta di gigantesco "libro contabile" diffuso sul web.
Non sono legate ad alcune banca centrale e, quindi, a nessun governo: le valute elettroniche dipendono da società specializzate che mettono in condivisione computer e server in tutto il mondo.
Questo aspetto fortemente "libertario" della valuta virtuale l'ha fatta apprezzare (e utilizzare) non solo dagli esperti del web, ma anche dagli speculatori - esistono fondi hedge americani specializzati in questa tipologia di valute - e purtroppo dai criminali: le criptovalute sono il mezzo di pagamento della parte oscura della rete, il dark web non controllato, non tracciabile dai motori di ricerca e raggiungibile solo attraverso particolari software.
"È utile solo ai criminali - ha detto Dimon - o altri che cercano di nascondere capitali trasferendo denaro all'estero. Se si è in Venezuela, in Ecuador o in Corea del Nord, se si è uno spacciatore o un assassino, allora è meglio usare i bitcoin rispetto ai dollari".
Non a caso la Cina, dove si registra la maggior parte delle transazioni in queste valute, è il paese capofila nel contrasto all’utilizzo di queste valute che sono utilizzate da molti cinesi per esportare illegalmente capitali fuori confine.