Televisione
January 15 2018
da Borgarnes (Islanda)
Una donna bionda, una figura longilinea dal volto minuto e sofferente, fissa il suo riflesso in uno specchio, assediata da pensieri turbolenti che non le danno tregua. Abita una casa sperduta nella neve, una villa percorsa da vetrate che lasciano entrare un paesaggio gelido, malconcio, malinconico. Più tardi, eccola discutere con un’ospite più giovane di lei, i lunghi capelli cinti da un velo, l’atteggiamento cordiale ma severo. In mezzo a loro ronza un bizzarro dispositivo capace di scavare nel cervello, un computer veggente in grado di riportare a galla quei pensieri sommersi dal tempo, seppelliti nei labirinti della mente.
Un mondo parallelo (o, chissà, all’orizzonte) in cui è possibile investigare tra i ricordi altrui, usarli come indizi se non come elementi di prova, è la miccia di Crocodile, uno degli episodi della quarta stagione di Black Mirror, la serie tv che più di tutte ha saputo esasperare le inquietudini scoperchiate dai progressi della tecnologia, immaginarne le probabili derive. Un intreccio di provocazioni e distopie che ha raccolto decine di premi internazionali, inclusi due Emmy Awards, lo scorso settembre a Los Angeles. Un racconto dell’impronta del digitale nel quotidiano scandito da ironia e sagacia condensate in brevi film non collegati tra loro, visibili in ordine sparso e, salvo rarissime eccezioni, senza il sollievo consolatorio del lieto fine.
I prossimi sei sono sbarcati in contemporanea su Netflix lo scorso29 dicembre, Panorama è volato fino in Islanda per visitare in esclusiva il set blindato di uno dei più promettenti in arrivo, girato nei dintorni di Borgarnes, distesa di montagnette spuntate, laghi ghiacciati e tortuose deviazioni a due ore di scivolosissimo asfalto dalla capitale Reykjavík.
A dare il benvenuto alla troupe, una tormenta da record, con livelli di neve che non si registravano dal 1937: «Quando giriamo all’esterno, sentiamo i fiocchi pesare sulle spalle. Per proteggerci dobbiamo indossare sei strati di vestiti. Poco male, abbiamo trasformato la natura, la sua forza violenta, in uno degli elementi centrali dell’episodio» spiega il regista australiano John Hillcoat, seduto davanti a un lungo tavolo di legno durante la pausa pranzo. Doveroso piatto forte del menu: una zuppa bollente.
Hillcoat è uno specialista di drammi che si avvitano intorno a scenari desolati: ha diretto The road, film post-apocalittico con Viggo Mortensen tratto dall’omonimo romanzo capolavoro di Cormac McCarthy. In quel contesto la catastrofe era alle spalle, ne rimanevano echi e cicatrici, «in Black Mirror, invece, sembra sempre in agguato dietro l’angolo. È fantascienza, ma molto verosimile».
I fan più fedeli della serie troveranno in Crocodile alcune affinità con The entire history of you, puntata della prima stagione in cui un chip impiantato dietro l’orecchio dei personaggi registra tutto quello che sentono e vedono dal momento dell’installazione in poi. Penalizzandoli sul lavoro in caso di comportamenti poco opportuni, svelando a un partner vizi e infedeltà: «Ma qui siamo sul vertice opposto. I ricordi non sono cronaca, non hanno la vividezza dei fatti, sono sfocati come i sogni. Vanno cercati, evocati, recuperati» continua Hillcoat. «Il punto centrale dell’episodio è risvegliare il passato, fare i conti con quello che eravamo. Per sapere quello che siamo, basta estrarre dalla tasca il telefono che ci ascolta, registra i nostri percorsi o quante volte andiamo nello stesso caffè durante la settimana» osserva l’attore inglese Andrew Gower, sullo schermo Rob, sottintendendo che non occorrono chip sottocutanei per monitorare il presente.
Crocodile potrebbe essere visto come un Minority Report ribaltato, in cui si è sotto indagine non per il crimine che si sta per compiere (come nell’indimenticabile film con Tom Cruise), ma per quelli trascorsi, le cui tracce dirimenti albergano tra le sinapsi del presunto colpevole. Perché come impone la prospettiva narrativa della serie, al centro rimane l’elemento umano, la sua traiettoria psicologica. Nel caso specifico, il conflitto interiore che lacera Mia, architetto di successo con una macchia, «un peso dentro che si trascina da oltre dieci anni» anticipa Andrea Riseborough, già vista accanto a Michael Keaton nel gioiello cinematografico Birdman, incensato nel 2015 con quattro premi Oscar. La quasi esordiente Kiran Sonia Sawar, l’altra protagonista femminile, è invece «la scienziata della memoria», la definizione è dell’attrice stessa, che proverà a dragare i pensieri remoti di Mia.
Dire cosa troverà alla fine sarebbe uno spoiler imperdonabile, ma intanto ecco svelato il prossimo incubo di Black Mirror: l’invadenza definitiva della tecnologia, capace di colonizzare l’ultimo spazio residuo. Di prendersi l’angolo privato più estremo e segreto: il nostro cervello, i suoi ricordi intimi e profondi. Trasformando la mente in un hard disk da saccheggiare.