Industria
July 12 2021
Il blocco dei licenziamenti ha salvato 330.000 posti di lavoro. Questo quanto evidenziato dal presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, durante la presentazione alla Camera dei deputati del rapporto annuale dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. Tridico ha sottolineato anche come gli interventi messi in atto dall'Inps per l'emergenza Covid hanno raggiunto oltre 15 milioni di beneficiari pari a circa 20 milioni di persone per una spesa complessiva di 44,5 miliardi di euro. E dunque secondo il presidente dell'Inps la cassa integrazione, uno tra gli strumenti messi in campo durante la pandemia, ha funzionato e il blocco dei licenziamenti ha fatto bene all'economia e alle imprese italiane.
Peccato che i numeri dicano l'opposto. Nel pre-rendiconto sociale dell'Inps sul 2020 (presentato ad aprile 2021) emerge infatti come l'anno scorso la cassa integrazione ordinaria e in deroga abbiano registrato un tiraggio complessivo (indice dell'uso delle ore effettivamente richieste) solo del 40%. Nel dettaglio sono stati autorizzati 1,98 miliardi di ore di cassa integrazione ordinaria con un utilizzo inferiore a 700 milioni e un tiraggio del 35% e quasi 981 milioni di ore di quella in deroga con un utilizzo di 494 milioni e una richiesta del 50%. E a confermare questi dati era stato anche lo stesso Tridico che su Radio24, aveva dichiarato come "Le aziende la richiedono la cig tuttavia ne usufruiscono di meno poiché nel rendiconto il tiraggio è di molto inferiore. L'anno scorso eravamo al 50%, per i primi mesi di quest'anno siamo invece al 25-30%. Il Governo lo scorso anno aveva messo 20 miliardi difatti, quest'anno infatti, solo 8".
Insomma uno strumento non tanto apprezzato dalle imprese, le destinatarie finali della misura, e che adesso all'alba della fine dello stop dei licenziamenti si rivendica come vincente e fondamentale anche per il futuro. E infatti secondo il Dl n.99/2021 il Governo raccomanda alle imprese che devono gestire degli esuberi di valutare l'opportunità di sfruttare ulteriori 13 settimane di cig senza contributo, in deroga fino al 31 dicembre 2021 (per i datori di lavoro che hanno già utilizzato la dotazione a disposizione). Ovviamente si tratta di una raccomandazione che non ha nessuna valenza di obbligatorietà e che visto l'andamento passato nell'uso di questi strumenti sarà facilmente non usata in questa fase transitoria.
Questo fermento intorno alla fine selettiva del blocco dei licenziamenti si è fomentato sempre di più quando è scoppiato il caso Gkn, multinazionale britannica che si occupa della realizzazione di componenti destinate alle industrie del settore automobilistico e aerospaziale di proprietà di un fondo statunitense che aprì una sede a Firenze. La società nei giorni scorsi ha infatti deciso di chiudere, licenziando, tramite mail, 422 dipendenti. I motivi sono squisitamente economici. La Gkn ha infatti fatto sapere che le previsioni di fatturato, per lo stabilimento di Campi Bisenzio per il 2025, registreranno un calo del 48% rispetto al 2019. Il tutto è legato alla pandemia.
A causa della contrazione dei volumi del comparto automobilistico, spiega Gkn, la prospettiva è quella della non sostenibilità dello stabilimento di Campi Bisenzio. Inoltre la società ha anche spiegato come "non è nelle condizioni di ricorrere all'utilizzo degli ammortizzatori sociali". La mossa della multinazionale inglese non è però piaciuta a diverse parti. Secondo infatti Cgil e il segretario del Pd, Enrico Letta lo sblocco dei licenziamenti è la causa del comportamento della multinazionale inglese. C'è però da ricordare come già prima che il governo Draghi decidesse di procedere con i licenziamenti, nel 2020 la Legge n.120/2020 e i successivi decreti prevedevano deroghe al divieto di licenziamento nel caso in cui un'azienda fallisse. Certamente il metodo di comunicazione non è stato dei più felici, e sicuramente il tempismo non è stato dei migliori, ma la decisione di Gkn non può essere strumentalizzata, in modo errato, in una battaglia contro lo sblocco dei licenziamenti.