Reuben Bastienne-Lewis
Musica

Blur: The Ballad Of Darren è magica alchimia

Per Damon Albarn il nono album dei Blur rappresenta "una scossa di assestamento, una riflessione e un commento su dove ci troviamo ora". Già, dove ci troviamo ora, senza tentativi di apparire diversi da quel che si è, ovvero una band di over 50 che non ha nessuna intenzione di ripetere quel che ha già fatto perché tutto intorno a loro è cambiato, perché la vita è andata inesorabilmente avanti, qualcuno non c'è più, e certi entusiasmi dell'età dell'oro del Brit Pop sono un ricordo sufficientemente lontano.

Detto questo, The Ballad of Darren, dedicato all'ex bodyguard del gruppo che ora lavora per Damon Albarn, è album che brilla dall'inizio alla fine. E che palesa il mood da cui è attraversato nell'ispirata The Ballad, che ha come incipit queste parole: "Ho dato uno sguardo alla mia vita e tutto quello che ho visto è che non tornerai". Ad alzare il volume ci pensa il devastante riff di chitarra che accompagna la pulsante St. Charles Square con alcune pregevoli reminiscenze dell'era Parklife.

È un album carico di emozioni, di malinconia, di senso della perdita, ma anche di melodie accattivanti ricche di groove, come quella che accompagna l'ottima Barbaric. Tra le perle, Russian Strings, una super ballad dall'incedere drammatico con qualche accenno che ricorda da vicino il buon vecchio Elton ma anche il Duca Bianco.

Struggente ed eterea The Everglades, dedicata a Leonard Cohen, mentre la successiva The Narcissist, un gran pezzo che forse inconsapevolmente, nel titolo, coglie lo spirito dei tempi, di questi strani tempi, dove contano solo nomi, numeri e selfie. Ecco se c'è un grande pregio di The Ballad of Darren è quello di non aderire a nessun canone sonoro ed estetico predefinito, di non tentare di essere nient'altro che un ottimo disco fatto di canzoni vere.

A questo punto della loro storia devono solo essere coerenti e in pace con se stessi i Blur, un obiettivo che queste canzoni raggiungono in pieno. Come in Avalon, una mini suite tra soul, pop e rock, forse uno dei brani migliori mai realizzato dal gruppo. Ma c'è anche di meglio: The Heights, un lampo di pura bellezza con un finale che non ti aspetti nel segno del puro rumore che spiazza e ipnotizza.

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