27 sfumature di Bob Dylan

Parla solo con la musica Bob Dylan, da sempre insofferente alle interviste e ai contatti con i media. Lo fa senza tenere nulla nel cassetto, pubblicando tutto quello che ha registrato, in studio come dal vivo, con una frequenza e una prolificità che non ha eguali nella storia della musica contemporanea, quasi a voler sottolineare che la sua voce la si ascolta nei dischi, non nei talk show, e che quel che ha da dire è nelle strofe delle sue canzoni non nelle dichiarazioni ai giornali.

Uno dei primi a comprendere l’attitudine del futuro premio Nobel fu Klas Burling, giornalista della radio nazionale svedese, famoso per essere stato tra i primi ad intervistare i Beatles. Burling, nel 1966, si trovò di fronte il “l’affabile” menestrello reduce da una notte insonne in un hotel di Stoccolma. A rendere quell’intervista «la peggiore della sua vita» furono le risposte irritate e taglienti di Dylan alle sue domande: «Ma pensa che io abbia mangiato e dormito male in questo albergo dopo migliaia di chilometri in auto per sentirmi chiedere se sono un cantautore di protesta o se mi consideri più un poeta o un cantante? Ma a chi interessano queste sciocchezze?. Se si fosse trovato davanti Mozart gli avrebbe rivolto questo tipo di domande? E a un idraulico che cosa chiederebbe?».

Quella di Dylan è una traiettoria unica e irripetibile, costellata da un numero impressionante di incisioni e concerti: quaranta album in studio, ventuno dischi live, undici album della collana Bootleg Series, centoquattro singoli, undici libri e undici documentari dedicati alla sua carriera. E non è finita: il 20 settembre esce The 1974 Live Recordings, un monumentale cofanetto di ventisette cd con tutti gli show del tour di cinquant’anni fa insieme a The Band.

Un tour speciale perché segnava il ritorno dopo otto anni di assenza dal palcoscenico e perché per la prima volta i biglietti degli spettacoli vennero venduti per corrispondenza e pagati con vaglia e assegni.

Come dicevamo prima, “il ragazzo del Minnesota” non conserva nulla in archivio. Anche perché ha una fan base di collezionisti, o meglio di “completisti”, inossidabile. Appassionati che vogliono tutto e di più. Non un singolo concerto tratto da un tour, ma tutti i concerti del tour, comprese le registrazioni delle prove e dei soundcheck, anche quelle incomplete e parziali.

Chi non frequenta Dylan se non occasionalmente potrebbe pensare a una sterminata quantità di dischi più o meno uguali, con le canzoni più o meno note del repertorio riproposte in versioni simili di anno in anno. E invece, no. Nessuno è meno rispettoso di lui rispetto alla versioni originali delle sue canzoni. Quando sale sul palco, le versioni dei brani presenti sul disco in studio sono solo linee guida attraverso cui giocare la sua partita preferita, quella dello stravolgimento totale. Così di volta in volta, di tour in tour, lo stesso brano diventa country, folk, rock, blues, jazz, rockabilly o anche una ballad per piano e voce. Già, la voce. Nemmeno quella resta mai uguale a se stessa. Dylan (classe 1941), a differenza di molti vocalist che tentano maldestramente di cantare come se avessero sempre trent’anni, si è sintonizzato con l’orologio biologico, cambiando l’approccio e la tonalità dei pezzi, arrivando a “storpiare" clamorosamente persino la metrica e la melodia delle canzoni storiche, rendendo irriconoscibili in concerto classici come Blowin’ in the Wind, Shooting Star o Love Sick.

Spiazza per professione Bob Dylan, con l’obiettivo estremamente ambizioso e démodé, in quest’era di musica piatta e ripetitiva, di non essere mai uguale a se stesso. Scrive un pezzo diretto e potente come Things Have Changed (Oscar nel 2001 come Miglior canzone originale), reinterpreta Frank Sinatra nell’album Shadows In The Night, compone un “singolo” (Murder Most Foul) di 16 minuti e 56 secondi sull’assassinio del Presidente Kennedy e conquista il primo posto nella classifica dei brani digitali più scaricati negli Stati Uniti, incide un album (Christmas In The Heart) di inni e canti natalizi e, infine un ballad raffinata dall’attitudine pop come Make You Feel My Love che ottiene un modesto piazzamento in classifica (cinquantatreesimo posto in America), ma che strega letteralmente centinaia di artisti in tutto il mondo. Ad oggi sono oltre 450 i performer che l’hanno ricantata: da Adele a Michael Bolton, passando per Billy Joel, Boy George, Bryan Ferry e il re del country Garth Brooks. Non sta mai fermo Dylan impegnato dalla fine degli anni Ottanta in quello che è stato ribattezzato Neverending Tour, l’infinta serie di concerti di uno spirito libero, che a dicembre, si presenterà in incognito, com’è nel suo stile, in un cinema della profonda provincia americana per vedere The Complete Unknown, il biopic a lui dedicato, e verificare di persona se davvero l’attore che lo interpreta, Timothée Chalamet, canta come lui a vent’anni. Lo hanno scritto tutti i giornali del mondo. Meglio non fidarsi…

- YouTubeSet in the influential New York music scene of the early 60s, A COMPLETE UNKNOWN follows 19-year-old Minnesota musician ...

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