I tre errori di Ilda "la rossa"

Se io dicessi che c’era molto di partenopeo nella requisitoria di ieri di Ilda Boccassini contro Silvio Berlusconi, e sarebbe perfino banale dirlo perché Ilda la Rossa è in effetti napoletana, se dicessi che i suoi j’accuse emanano un sentore di quartieri spagnoli e salsa al pomodoro tanto che per indicare il reato di concussione ha usato un termine che capisce solo chi abita sotto il Vesuvio (“arronzamento”),

se dicessi che come tutte le donne napoletane Ilda ha travalicato il giusto limite e le sue argomentazioni sono state troppo emotive, a tratti sguaiate (quando ha attribuito a Karima El Mahroug (detta Ruby) una “furbizia orientale” che discenderebbe dalle sua origini marocchine e che la nascita levantina l’ha indotta naturalmente a sfruttare le proprie curve in cambio di benefici),

se infine tradissi un certo fastidio per la passionalità tipica del Golfo con la quale Ilda “la Rossa e la Napoletana” ha dato colore a quelle che altrimenti sarebbero state grigie argomentazioni giuridiche e non si è limitata a citare sobriamente le prove e i fatti come certamente (e opportunamente) avrebbe fatto una toga piemontese, ecco, se dicessi tutto questo sarei il primo a vergognarmi. Il mio sarebbe un attacco “razzista”, basato su un pregiudizio ideologico e culturale se non genetico, criticherei la foggia napoletana della toga di “Ilda la Rossa” senza contestare, come dovrei, nel merito la sua costruzione accusatoria.

Tuttavia, non dovrei troppo vergognarmi se dicessi, in difesa di elementari principi di tolleranza e rispetto verso le persone, che il luogo comune della “furbizia orientale” brandita in un’aula di tribunale nei confronti di una minorenne nata a Occidente dell’Italia, cioè in Marocco, mi fa pensare a un’altra aula di tribunale: Alabama, 1922... Il nero Jim Rollins, accusato di “mescolanza di razze” per aver avuto rapporti con la siciliana Edith Labue, viene assolto perché il giudice ne accoglie la tesi difensiva: “Ma non era bianca, era italiana!”. Ovviamente, non mi sogno neppure di paragonare i due episodi. Milano 2013, Alabama 1922… Impossibile un confronto.

Se “orientale” fosse stato un epiteto più culturale che geografico, sarebbe stato più grave (ma sicuramente non è così). Come definire “zingaro” un barbone partenopeo. Sarebbe una doppia offesa: verso i marocchini e verso gli orientali, verso gli zingari e verso i napoletani. In bocca a un magistrato sarebbe come la bestemmia sulle labbra di un angelo. Inconcepibile.

Furbizia orientale e “arronzare”. Ma c’è un terzo dettaglio che sarebbe una scortesia imputare alla Boccassini. Una gaffe è sempre una gaffe e nulla di più, questo vale per tutti, per Berlusconi come per i Pm. Al termine della requisitoria, quando passa a formalizzare la richiesta di pena, Ilda la Rossa dice “condanno Silvio Berlusconi” invece di “chiedo la condanna di Silvio Berlusconi”. Lapsus freudiano? No. Ha ragione. Una requisitoria così dura verso un ex pluri-premier e tre volte presidente di G8 nonché leader di uno dei grandi partiti italiani (primo nei sondaggi), è peggio di una condanna, perché colpisce 10 milioni di elettori e potrebbe avere implicazioni sulla politica e la storia di questo Paese.

Adesso, se ripetessi seriamente quello che suggestivamente ho fatto finora, cioè che la Boccassini non ha smentito la propria fama di “Ilda la Rossa”, dimostrerei di confondere il colore dei capelli con quello delle idee. Che in un magistrato “occidentale”, notoriamente, non devono avere tinta.

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