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ANSA/ MAURIZIO DEGL INNOCENTI
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Bonafede, il ministro al centro dei giochi

«Alfò, ma che ti candidi a fare? Tanto prendi l’1 per cento...» lo canzonavano gli amici di una vita, quando d’estate tornava a  Mazara del Vallo, il paesone del trapanese dov’è nato. A quel punto Alfonso Bonafede, neoministro della Giustizia, sfoderava il migliore dei sorrisi e, tra i preplessi astanti, vaticinava solenne: «Capiranno...».

Dieci anni dopo quegli affettuosi dileggi, il Movimento 5 stelle s’è preso Palazzo Chigi. E l’avvocato siciliano è il nuovo guardasigilli. Di più: è l’uomo del momento. Epigone di Luigi Di Maio. Pietra angolare della Casaleggio Associati. E, menzione d’onore, mentore del premier Giuseppe Conte. S’è rivelata invece infelice un’altra intercessione: la segnalazione dell’avvocato Luca Lanzalone al sindaco di Roma, Virginia Raggi, che l’ha poi nominato presidente di Acea, poderosa multiutility capitolina. Lanzalone è stato arrestato per corruzione. E tra le carte dell’inchiesta è spuntata un’intercettazione in cui il ministro, estraneo ai fatti, viene definito «Mister Wolf». Per capirsi: quello che, nel film cult Pulp fiction, «risolve i problemi».

Del resto, più modestamente, a Mazara del Vallo lo ricordano come uno che, fin da bambino, ha palesato doti di mediatore, paciere, confidente. In Sicilia si compendia: «Uno che mette sempre la buona parola». Dalla capitale della pesca isolana s’odono solo sperticati peana in onore di Alfonso. Figlio di un’insegnante di sinistra e del titolare di un supermercato con simpatie di destra, Bonafede, 42 anni, due bambini, s’è diplomato al liceo scientifico Gian Pietro Ballatore. Ed è tra i banchi di scuola che nasce la sua passione politica. Diventa un moderato e dialogante rappresentante d’istituto. Che, nel tempo libero, gioca a calcio come ala destra e fa il vocalist dividendosi tra radio locali e in discoteche à la page. 

Finito il liceo, si trasferisce in continente: a Firenze, dove si laurea in Giurisprudenza. Conosce Conte, che insegna Diritto privato nell’ateneo. Comincia a collaborare con il professore come cultore della materia. Nel 2006 si iscrive nel meetup locale degli Amici di Beppe Grillo. Da avvocato, si specializza nella cause dei No Nav. È il legale di decine di fiorentini che abitano lungo il tracciato del tunnel. Dovrebbe passare sotto la città, ma i lavori non partiranno mai. La battaglia dà comunque a Bonafede una certa visibilità, specie negli ambienti della sinistra movimentista: il core business dei Cinque stelle agli albori. 

Nel 2009 completa il dottorato di ricerca in Diritto privato a Pisa. Titolo della tesi: «Il danno patrimoniale in Italia alla luce del diritto europeo». Relatore: Giorgio Collura, già «maestro» accademico di Conte. Lo stesso anno Bonafede viene candidato sindaco di Firenze per il M5s. Nonostante l’antesignana promessa di portare il Grande fratello in Consiglio comunale, filmando le sedute con una webcam, nell’assise  il neoministro non siederà mai. Il risultato delle urne, come previsto dagli amici mazaresi, è da prefisso: 1,8 per cento. 

«Capiranno» sibilava Alfonso, sguainando il sorrisone. E la rivalsa arriva poco dopo. Avesse preso qualche punto percentuale in più, raccontano dall’isola, sarebbe entrato in Consiglio comunale. Addio sogni di gloria. Le regole del Movimento l’avrebbero costretto a cinque anni di orwelliana opposizione al sindaco, Matteo Renzi. Una probabile eclissi. Invece, a dispetto del modesto risultato, diventa il proconsole di Grillo in città. Nel 2012, intanto, apre uno studio legale associato nella centrale via Lamarmora. 

Un anno più tardi, si ricandida alla Camera. E stavolta Alfonso, con ben 227 voti, sbanca le Parlamentarie: è il più votato del Movimento in Toscana. Sale così sul treno che lo porta nella capitale. Senza voltarsi indietro. «Già prima di venire eletto, sul territorio era assente» racconta Miriam Amato, candidata a sindaco di Firenze per i Cinque stelle nel 2014. L’anno successivo viene espulsa, dopo aver chiesto chiarimenti sul ruolo della Casaleggio. Eletta consigliere comunale, ha cambiato partito: Potere al popolo. «Bonafede ha fatto un buon lavoro, come avvocato, per il tunnel No Tav» aggiunge Amato. «Ma, per il resto, non ha mai partecipato né alle nostre battaglie né ai gruppi di discussione. Lo vedevamo in televisione, ogni tanto, per qualche intervista». 

Eppure, a leggere le note dei rimborsi pubblicate sul sito grillino Tirendiconto.it, nella scorsa legislatura  Bonafede ha usato 24.399 euro alla voce «eventi sul territorio», tra missioni non ufficiali e spese logistiche per la partecipazione agli eventi. Ma, d’altronde, la presa poco salda su Firenze e dintorni s’è dimostrata anche al momento delle liste elettorali presentate alle ultime Politiche. Nomi scelti dal M5s e poi tacciati in corsa di impresentabilità. Piero Landi, candidato a Lucca: «Massone!». Leonardo Franci, in corsa a Siena:  «Leghista!». E il noto Salvatore Caiata, patron del Potenza calcio: «Indagato per riciclaggio!». Inchiesta che, per inciso, ha decretato la sua esclusione dai Cinque stelle ma non da Montecitorio, dove adesso siede beatamente tra le file del gruppo misto.   

Poco importa. Bonafede, qualche mese fa, già volava nell’alto dei cieli della piattaforma Rousseau. Il lustro passato in Parlamento ha enfatizzato la sua democristianità. Indole che l’ha portato al momento giusto nel posto giusto: al fianco destro di Di Maio, summa dell’ala moderata del Movimento. Del resto, già all’epoca della sua sfortunata candidatura a sindaco, mentre Alessandro Di Battista vagava per il Sudamerica sulle orme di Che Guevara, il futuro guardasigilli in un’intervista al Corriere Fiorentino svelava le sue simpatie politiche: «Giorgio La Pira diceva: “Nessuno dica che la politica è una cosa brutta” e anche lui era siciliano e laureato in Giurisprudenza a Firenze».

Una stima che l’accomuna a Matteo Renzi, che sul sindaco-santo di Firenze, poi eletto in Parlamento con la Dc, discusse la tesi di laurea. Per il resto, i due si detestano apertamente. La ruggine era già nata durante le famose amministrative del 9 giugno 2009. Quelle in cui Renzi, vento in poppa, veleggiava sul 48 per cento dei voti. Mentre il ruspante Alfonso raccoglieva meno del 2 per cento. Ma adesso è giunta la nemesi. L’ex segretario del Pd coltiva maldestramente la sua marginalità. Mentre l’antico e pittoresco contendente, armato di panciotto e fazzoletto bianco nel taschino, fa il mazziere del governo, annuncia mirabolanti riforme e svicola a Otto e mezzo sui rapporti con Lanzalone come un politico scafato.

Eppure l’indiretta citazione nell’inchiesta romana sulla costruzione del nuovo stadio poteva trasformarsi in un ruzzolone. Ma i vigorosi attacchi del giglio magico, che chiedeva lumi al ministro, vengono derubricati con superbia: «Qualcuno starnazza e dice che dovrei andare in Parlamento. Ma per dire cosa? Il Parlamento non è la ricreazione di Renzi. Merita rispetto».

In via Arenula, sede del dicastero, dove avrebbe fatto approntare un piccolo alloggio, il neoministro ha già mosso i primi passi. S’è presentato in perfetto stile grillino: a metà tra Attimo fuggente e predellino berlusconiano. Per il primo incontro con magistrati e dipendenti ha preferito l’atrio agli stucchi del palazzo, infarcendo il suo saluto di ottimismo ed entusiasmo.

Con gli stessi ardori, corredati dal solito smagliante sorrisone, come primo atto ufficiale è andato in missione a Bari. In Puglia ha promesso di smantellare la tendopoli che ospita temporaneamente parte degli uffici giudiziari. Poi ha avviato un vigoroso spoil system ministeriale, scegliendo giovanissimi magistrati per alcuni ruoli chiave. Infine ha annunciato il blocco della riforma delle legge sulle intercettazioni: ovazione generale. Il garantismo può attendere. «Capiranno» vaticinava sardonico Alfonso, durante le infuocate vacanze mazaresi. E, adesso, hanno capito.

(Questo articolo è stato pubblicato sul numero 28 di "Panorama" in edicola il 28 giugno 2018, con il titolo: "La lunga rincorsa di Alfonso, ministro al centro dei giochi")

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