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January 23 2014
di David Allegranti
C’è stato un tempo in cui Francesco Bonifazi, 37 anni, nuovo tesoriere del Pd di provata fede renziana, era dalemiano; era la stagione 2008-2009, a Firenze c’erano le primarie per scegliere il nuovo sindaco e Bonifazi, detto «Bonitaxi» perché spesso scarrozza il segretario democratico sulla sua Audi A4 nera, era il capo dello staff elettorale di Michele Ventura, ex vicecapogruppo alla Camera del Pd che del dalemismo ha fatto una religione. D’altronde, la storia familiare bonifaziana è inserita nella filiera Pci-Pds-Ds. Tutti comunisti, in casa: il babbo è Franco Bonifazi, per anni direttore della Mukki, la centrale del latte; lo zio è Alberto Bruschini, già membro della deputazione generale del Monte dei Paschi e già direttore della Cassa di risparmio di Prato. Persone, insomma, che un tempo sarebbero state definite «notabili di partito».
Insieme con Bonifazi, nel comitato pieno di antirenziani, c’era anche Maria Elena Boschi, oggi responsabile riforme della segreteria pd, con la quale c’è un’amicizia di vecchia data. È stato infatti Bonifazi qualche anno fa, quando ancora il sindaco non la conosceva bene, a spingere perché la bionda avvocatessa facesse parte della squadra di Renzi, proponendola per il cda di Publiacqua, partecipata del Comune di Firenze. Ma Boschi non è l’unica a essere stata segnalata da Bonifazi. Il tesoriere in passato ha sponsorizzato anche Federico Lovadina, avvocato tributarista trentenne e suo collega di studio, nominato nel cda della Mercafir. Perché anche le segnalazioni devono rispettare le pari opportunità. Buona sorte anche per la fidanzata Caterina Carpinella: la sua associazione culturale Cultcube nel 2010 ha preso in gestione il teatro dell’Affratellamento, luogo storico della sinistra fiorentina (il cui vicepresidente è babbo Bonifazi) e lei è da poco responsabile cultura del Pd fiorentino.
Da quando è stato folgorato sulla via di Rignano, Bonifazi non si stacca più da Renzi. Ma non si limita a guidare la macchina del capo; una volta, quando Bersani era segretario del Pd e incontrò a pranzo il sindaco, toccò a «Bonitaxi» pagare il conto. Per questo chi non lo conosce lo scambia per la guardia del corpo. Ma fisiognomicamente, sarà la barba, sarà la faccia, è una via di mezzo fra il Valerio Staffelli di Striscia la notizia e un naufrago dell’Isola dei famosi. Mettici anche il ventre prominente di cui un po’ si vergogna. Lo scrive su Facebook quando, il 24 settembre 2013, interviene per la prima volta alla Camera: «Dichiarazione di voto su articolo 11 delega fiscale. Emozione irripetibile, ma anche un grande onore! E forse anche un po’ troppa pancia» è la didascalia del selfie di Bonifazi, che assieme a Boschi e a Luca Lotti, il braccio ambidestro del sindaco, è nel «giglio magico» di Matteo Renzi.
Nel 2009 Renzi gli chiese di fare l’assessore, ma lui disse no perché si trova meglio nei ruoli politici che in quelli tecnici. Da capogruppo del Pd a Palazzo Vecchio ha fatto da cuscinetto a Renzi su tutte le magagne che il sindaco si trovava di fronte, cercando di tenere a bada la minoranza del gruppo consiliare. Un ruolo rispettato fino in fondo, anche a sua insaputa, quando non era ancora alla guida del gruppo consiliare: durante la campagna elettorale per le amministrative ogni tanto uscivano fuori comunicati tonitruanti contro gli avversari, tipo Giovanni Galli, l’ex portiere scelto dal centrodestra, di cui lui non sapeva neanche l’esistenza; erano preparati dallo staff renziano, ma uscivano con la firma di Bonifazi.
Quando dichiara spontaneamente, invece, dichiara poco. Prima di aprire bocca vuole sempre essere sicuro di dire una cosa in linea col segretario. Questo tuttavia non gli evita qualche gaffe. Nel maggio 2012, durante il Consiglio comunale, si diffuse in aula la notizia, falsa, della morte di Paolo Villaggio. Bonifazi prese parola e propose un minuto di silenzio. Poi si scoprì che Villaggio era, ed è, vivo e vegeto. «Ringrazio per la gentilezza dell’iniziativa e per le condoglianze, ma per ora sto ancora abbastanza bene» disse Villaggio. «È stato un minuto di silenzio preventivo, un’iniziativa mai vista».
A differenza di altri renziani, Bonifazi non critica mai il sindaco-segretario. Non lo sentirai mai sfogarsi, neanche se c’è qualcosa che non gli torna. Lo chiama «Matteo» come tutti quelli che gli stanno intorno, ma anche «Il cavallo»; e aggiunge che «con Matteo si vince tutto». Il suo vecchio amico Ventura, quando erano insieme, lo ammoniva spesso: «Francesco, il senso critico bisogna sempre mantenerlo». Oggi però, dice Ventura, «il senso critico di Francesco si è un po’ perso, diciamo meglio: si è annullato. Eppure un leader che forma una squadra deve contornarsi di persone che lo criticano. Anche perché per criticare bisogna avere personalità. Io comunque non nutro alcunché nei confronti di Francesco, pur pensandola diversamente, continuiamo a confrontarci».
Di Antonio Misiani, il suo predecessore, Bonifazi dice che è «una persona seria», ma appena nominato ha fatto subito fare una due diligence per avere il bilancio a raggi X e dato in pasto ai giornali i conti del partito per rivelare quanto sia messo male. Anche lui però ha qualche conticino aperto con il partito. Quello del Piemonte, la Regione dov’è stato eletto nel febbraio scorso grazie al listino bloccato. In Piemonte, come in molte altre federazioni regionali, il Pd chiede un contributo ai suoi candidati consiglieri regionali e parlamentari. In questo caso sono 30 mila euro spalmabili sulla legislatura, cioè in teoria 6 mila l’anno. Bonifazi, ha scoperto il Foglio, fino alla metà di gennaio non aveva ancora cominciato a pagare le quote. A Panorama spiega che «è solo un problema burocratico: sono stato eletto in Piemonte, ma non è ancora chiaro se i soldi li devo dare alla federazione piemontese o a quella in cui sono iscritto, cioè quella della Toscana. Avevo già chiesto delucidazioni quando il responsabile enti locali era Luca Lotti. Pagherò appena questo nodo sarà sciolto».
Ma la coordinatrice della segreteria regionale del Piemonte, Magda Negri, è inflessibile: «Capisco che l’onorevole Bonifazi, eletto nella circoscrizione Piemonte 2 per la Camera, voglia molto bene alla sua città e dopo 11 mesi dalla sua elezione s’interroghi su dove versare la quota che i candidati in posizione eleggibile, nel caso dell’on. Bonifazi non conquistata attraverso primarie ma regalata nella trattativa nazionale tra le correnti, dovevano garantire alle organizzazioni territoriali nella misura di un terzo alla firma di accettazione della candidatura e il resto rateizzato». Continua Negri: «Eppure l’attuale amministratore del Pd non può non ricordare di avere firmato una dichiarazione di accettazione del regolamento finanziario del Pd del Piemonte al fine di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di autofinanziamento della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2013. Un’accettazione con firma di suo pugno. Per usare il tono più lieve che va di moda oggi, caro Bonifazi non c’è nessun problema: i soldi sono dell’organizzazione piemontese che ti ha eletto e non dei fiorentini che ti hanno proposto». Insomma, caro Bonifazi, la porti un assegno in Piemonte.