Economia
February 28 2022
I mercati non amano l'incertezza. E' questa la premessa per spiegare e documentare l'andamento dei listini a cavallo dei periodi di guerra e tensione geopolitica. La diffusa volatilità che connota un periodo pre-bellico e d'inizio conflitto è sempre determinata dal clima d'incertezza diffuso tra gli investitori e storicamente tale clima si è sempre disteso a conflitto in corso quando – anzi – i listini tornano a crescere.
La storia insegna, infatti, che le borse non “disdegnano” le guerre. A giudicare da quanto sta accadendo ai mercati globali in questo momento ci sono le premesse per supporre che anche il conflitto tra Russia e Ucraina determini conseguenza borsistiche coerenti a quanto avvenuto nella storia.
Il movimento attuale dei listini mostra le azioni russe in perdita quasi del 50%, con il rublo che si è svalutato del 15% circa contro il dollaro e un ampliamento del premio dei CDS sulla Russia a 5 anni di 540 pb. Nella prima seduta dall’attacco russo le perdite erano state del 3% e del 4% con Mosca in caduta libera e la volatilità che s’impennava. Nulla di nuovo in realtà, come si diceva. La volatilità dei listini è una delle caratteristiche chiave del clima dei mercati nelle fasi subito precedenti o appena iniziali di un conflitto.
Ad apprendere dalla storia dell'ultimo secolo, la maggiore volatilità dei mercati è sempre stata dovuta all'incertezza del clima politico ed economico che precede l'esplosione di un conflitto importante. Gli investitori, infatti, non temono tanto le guerre quanto piuttosto la mancanza di controllo sugli eventi in corso.
A inizio 1938, ad esempio, le azioni USA si stavano riprendendo da un mercato al ribasso che era iniziato a marzo 1937 ed era legato a errori di politica monetaria, e l’economia americana mostrava segni di miglioramento dopo una recessione. Eppure, la ripresa si è conclusa praticamente in concomitanza con l’invasione e successiva annessione da parte della Germania del Sudetenland a ottobre 1938, che rendeva chiarissime le ambizioni di Hitler per l’Europa.
Nella fase centrale del secondo conflitto mondiale (in merito alla prima guerra mondiale i dati sono scarsi in quanto la serie storica di numeri borsistici affidabili inizia nel 1925) è avvenuta una fase di forte crescita degli indici azionari: tra il settembre del 1939 (invasione della Polonia da parte dei nazisti), al maggio 1945 (anno della resa della Germania) l’indice americano Dow Jones ha guadagnato circa il 23%. I listini hanno poi subito una nuova fase di volatilità in concomitanza con la firma dell'armistizio del 1945. Anche in questo caso è stata l'incertezza del futuro a scuotere i mercati che, a conflitto concluso, hanno ripreso a volare approfittando del clima di euforia post bellico.
Deutsche Bank ha analizzato l’andamento dell'indice S&P500 durante i più importanti eventi geopolitici degli ultimi 80 anni, dall’Annessione tedesca della Cecoslovacchia nel marzo del 1939 ai bombardamenti contro la base aerea in Siria del 2017. Dall'analisi emerge in maniera costante che il tempo di ripresa delle principali economie mondiali è stato differente da conflitto a conflitto, ma l'andamento è stato simile e caratterizzato dall'alternanza di volatilità, crollo, stabilizzazione ed euforia; nuova fase volatile e infine ripresa.
Numeri alla mano la perdita più significativa subita dalle azioni americane (superiore addirittura a quella del secondo conflitto mondiale che fu del 20%) nel corso della storia (dal 1925 a oggi) risale al crac di Lehman Brothers, il 12/09/08 quando il tracollo fu quasi del 40%. Una crisi dalla quale si è usciti dopo 20 mesi; il tempo necessario perché gli investitori digerissero il tracollo e ritrovassero fiducia nei mercati.
Durante guerra di Corea tra il 1950 e il 53 si è registrato un andamento simile a quello del secondo conflitto mondiale. A un anno dal crollo borsistico del 12,9% in concomitanza con lo scoppio del conflitto il rimbalzo era stato del 31% e il Dow Jones era salito del 19,6%, così come è salito di oltre il 20% tra il 1964 e il ‘73 durante la guerra del Vietnam.
Molto pesanti furono anche le conseguenze delle due guerre del Golfo. Con l’invasione del Kwait il 2 agosto 1990 S&P500 aveva perso il 24,1% e per rimarginare una ferita di simile portata c’erano voluti 7 mesi. Solo tre mesi invece sono stati necessari per riprendersi dalla Seconda Guerra del Golfo (20/03/03) quando si era segnata una perdita del 19,1%. Ancora più lieve l’impatto dell’attentato alle Torri Gemelle (11/09/01). La perdita del 13,1% era stata compensata in un solo mese.
Il più delle volte, infatti, i mercati reagiscono con grande forza agli eventi dal grave impatto socio economico e rimbalzano in breve con energia. A fine guerra, poi, il contro rimbalzo viene dato dalla tempestività che gli investitori hanno nel cedere le azioni e modificare gli asset economici dalla fase bellica all'investimento post bellico. Ed è tutta qui che si gioca la partita della ricostruzione.
Le Borse, in media, nei principali conflitti della storia hanno impiegato circa 15 sedute per riprendersi ed è allora che, perché i mercati reggano, è tempo di vendere. Recita la celebre massima attribuita a Nathan Rothschild «Compra sul rumore dei cannoni, vendi al suono della tromba». L'equilibrio dei mercati e le prospettive di ripresa sono in mano a questa alchimia cui gli investitori anche nel caso del conflitto in corso, finiranno per credere.