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December 22 2017
C’è la bella e c’è la bestia, ci sono gli affaristi imbroglioni e ci sono i politici felloni, c’è il popolo che mugugna e c’è il potere che tutto tiene e tutto corrompe.
Un feuilleton come si deve, di quelli che nell’Ottocento riempivano i giornali e poi finivano nei teatri popolari. Peccato che questa volta l’impresario sia il parlamento della Repubblica italiana e il palcoscenico venga fornito da una serissima quanto pomposa Commissione d’inchiesta sulle crisi bancarie.
La bella, ça va sans dire, è Maria Elena Boschi. La bestia, per tutti i suoi innumerevoli avversari, nemici, detrattori, non può che essere Matteo Renzi. Le crisi bancarie fanno solo da scenario a questa commedia degli errori.
Cominciamo dalla fine, dalla “ciliegina sulla torta” (come la definisce Marcello Sorgi sulla Stampa). Mercoledì 20 dicembre è stato ascoltato Federico Ghizzoni già amministratore delegato dell’Unicredit, l’unica banca italiana considerata sistemica la quale, tra l’estate 2015 e l’estate 2016 ha visto il valore delle sue azioni precipitare da 32 a 9 euro, appesantita dai crediti deteriorati e da una riduzione degli utili.
La Unicredit aveva bisogno di una sostanziosa iniezione di capitale, ma Ghizzoni pensava di farne a meno. Non solo, si era impegnato a garantire l’aumento di capitale della Banca Popolare di Vicenza in vista di una sua quotazione in borsa.
L’operazione non andò in porto, nessuno voleva investire quattrini nella Bpvi e la Unicredit rischiava di dover sborsare un miliardo e cento milioni. Il che mise in allarme gli investitori. Al punto che il governo e la Banca d’Italia fecero intervenire il fondo Atlante: nato per gestire i crediti deteriorati finì con il diventare l’azionista unico della Popolare vicentina e di Veneto Banca sgravando la Unicredit.
Questa “serie di sfortunati eventi” come l’avrebbe chiamata Lemony Snicket (alias Daniel Handler), portarono alla defenestrazione di Ghizzoni, ma soprattutto spinsero sul piano inclinato tutti i titoli bancari che persero in borsa a rotta di collo. Nel maggio 2016 il Wall Street Journal ricostruì l’intera vicenda, sotto il titolo “L’innominato beneficiario di un bailout bancario italiano”.
Come mai per salvare un piccolo istituto tutto sommato periferico si è rischiato di far collassare il cuore del sistema? Ebbene, gli onorevoli commissari non hanno cercato spiegazioni (oggettive, non sbirresche) di quest’ultima sequenza della lunga crisi creditizia. Tutti hanno chiesto a Ghizzoni se la Boschi ha fatto pressioni per salvare la Banca dell’Etruria.
Il banchiere ha risposto di no e ha raccontato come è avvenuto l’incontro, alla fine del 2014, quando (e questo lo sappiamo dalla Boschi stessa) era la Mediobanca a sollecitare la Unicredit perché si prendesse cura della Etruria.
Secondo la miglior tradizione della commedia dell’arte (perché anche i generi in questa grande rappresentazione cambiano) ciascuno ha interpretato a modo suo le parole di Ghizzoni.
La Boschi si è esibita in una distinzione lessicale da tarda scolastica: “Non sono stata io a chiedere di acquisire. Io mi sono informata sul se non ho chiesto di”. Tra se e di, c’è di mezzo il mare, ma entrambi restano una scorrettezza formale per un ministro il cui padre è amministratore della banca la quale, tra l’altro, impiega anche il fratello. Tra se e di, il Pd e il suo segretario sostengono che Ghizzoni ha smentito Ferruccio de Bortoli il quale invece ritiene confermate le sue rivelazioni.
E qui siamo arrivati a Rashomon, il fantastico film di Akira Kurosawa sulle molteplici versioni del delitto fornite dai testimoni oculari.
Di pochade bisognerebbe parlare quando entra in scena Vincenzo Consoli, amministratore delegato della Veneto Banca per ben 17 anni. Il banchiere accusa la Banca d’Italia di essersi ingiustamente intromessa e di aver voluto commissariare il suo istituto che poteva benissimo andare avanti da solo.
Invece, faceva acqua da tutte le parti, le sue azioni erano visibilmente gonfiate (a detta di Bankitalia) fin dal 2009, tenute su con le cosiddette operazioni baciate (cioè prestando i soldi ai clienti) come risultava persino alla Consob la quale intanto chiudeva gli occhi.
Già, la Consob. Il presidente (ormai ex) Giuseppe Vegas che tutti pensavano alla gogna per non aver vigilato sulle obbligazioni subordinate spacciate persino alle vedove etrusche, si toglie lo sfizio di raccontare i suoi incontri con la Boschi, restando però scornato quando lei rivela un invito alle 8 del mattino nell’appartamento privato di Vegas. Colpo di scena. Siamo a #metoo, al sospetto di molestie sessuali, un vero processo alle tentazioni.
Intrighi, colpi a effetto, gioco delle parti, fake news, disinformatia, propaganda elettorale. E la crisi? Il governatore Ignazio Visco ricorda che abbiamo attraversato la peggiore situazione economica dalla nascita dell’Italia unita e che nell’autunno 2011 erano asciutti persino i bancomat. Ciò assolve la Banca d’Italia e dimostra che la vigilanza ha vigilato come si deve?
Non del tutto; non ha violato norme, leggi e precetti (al contrario sono stati tutti molto ligi in via Nazionale), ma ha tentato fino all’ultimo di lavare i panni sporchi in famiglia.
Tutti i commissari senza eccezioni di parte, hanno messo sotto tiro Visco per non essersi prodigato abbastanza al fine di tenere in vita degli zombi con qualche escamotage finanziario o regolatorio, invece di chiedergli perché non ha fatto chiudere subito delle banche tanto dissestate: l’impatto su azionisti e investitori sarebbe stato forse lo stesso, ma avrebbero pagato meno i contribuenti e i depositanti.
Aver trascinato così a lungo aziende che non si reggevano in piedi, dal Montepaschi all’Etruria passando per Vicenza, costa finora oltre 60 miliardi di euro. Tre, quattro anni fa sarebbe stato, probabilmente, più a buon mercato.
Ma l’obiettivo dei commissari, cioè dei rappresentanti politici, è tutelare non l’interesse generale, bensì quello dei propri elettori. Lo fanno per lo più così male da danneggiare entrambi, anche se stessi. Tanto che dalla stessa commissione parlamentare è venuto fuori un via vai in Banca d’Italia nel tentativo di proteggere qualche cliente.
Non si è sottratta, naturalmente, nemmeno la “banda degli onesti” (Totò e Peppino, 1956) cioè il M5S.
Attendiamo, a questo punto, la sintesi dei lavori e la relazione finale. Lo psicodramma istituzionale che ha messo Renzi contro Visco (sul piano politico è stato questo l’aspetto più scottante) s’è concluso con un nulla di fatto sotto lo sguardo severo del presidente della Repubblica.
Gli svarioni della Boschi non hanno portato a nessuna assoluzione perché suo fratello è stato licenziato, il padre indagato e multato, la banca dell’Etruria liquidata. Forse la giovane politica che non vuol mollare verrà punita alle urne il prossimo marzo o forse l’accanimento nei suoi confronti finirà per giovarle. Certo, non è Giovanna d’Arco.
Le autorità di controllo escono malconce, ma senza che emerga alcuna idea sul futuro della vigilanza. Tutti nemici come prima. E le banche? Stanno meglio, però non sono affatto sane e salve. Alla prossima crisi speriamo che un deus ex machina risolva la tragicommedia.