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July 06 2016
È Maria Elena Boschi il ministro del governo Renzi che, tra novembre e luglio, ha subito il calo più consistente di fiducia da parte degli italiani. Lo riporta il report mensile stilato da Ipr Marketing. La titolare delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento è infatti scivolata dal 22% all'11% ed è terz'ultima in classifica davanti solo alle colleghe Marianna Madia e Stefania Giannini.
Quali possono essere le ragioni di un crollo del genere per colei che a lungo era stata l'astro più brillante del firmamento renziano è materia da esperti di comunicazione e marketing politico. E forse anche un po' di psicologi delle masse. Non c'è dubbio che lo scandalo Banca Etruria, che ha visto coinvolto anche il padre della Boschi, abbia rappresentato un colpo molto duro per l'immagine del ministro “salvata” da un voto di fiducia di entrambe le Camere.
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Ma si tratta di una vicenda che non può spiegare tutto. Quando erano al governo altri protagonisti della politica italiana, Silvio Berlusconi in testa, hanno subito, prima di lei, attacchi ben più violenti da parte di magistrati, oppositori politici, sindacati e altri vari corpi intermedi e, nonostante ciò, non sono mai finiti in fondo alle classifiche di gradimento.
Probabilmente nel suo caso è proprio lei, più di altri, a scontare l'effetto da “sbornia passata” che sta interessando tutto il renzismo in generale. Se Maria Elena Boschi era stata percepito come “la più nuova” tra i nuovi, oggi è diventata la “più vecchia” tra gli ex rottamatori. Quanto la sua ascesa era stata rapida e folgorante, tanto la sua discesa appare vorticosa.
Il fatto che sulla riforma costituzionale, che sta dividendo il Paese e che a ottobre sarà oggetto di un referendum su cui Matteo Renzi ha deciso di giocarsi la sua permanenza a Palazzo Chigi, ci sia poi il suo nome gioca pun ruolo non certo marginale. Maria Elena Boschi è l'unico ministro ad aver battezzato una legge. Quella della scuola non si chiama “Gelmini”, quella del lavoro non si chiama “Poletti”. Quella che riscrive una parte enorme della Costituzione invece si chiama “Boschi” e ciò, in questa fase, evidentemente non aumenta il suo appeal.
Dopo due anni di lavoro ,il Parlamento ha dato il via libera alla riforma costituzionale! Grazie a quelli che ci hanno creduto #lavoltabuona
— maria elena boschi (@meb) 12 aprile 2016
Non c'è dubbio, inoltre, che questo trend negativo segua quello più generale nei confronti di tutto il governo. Alcuni esperti di sondaggi, di cui Panorama.it ha raccolto l'opinione in circostanze informali, segnalano, tuttavia, che oggi una buona fetta dell'opinione pubblica ritenga la Boschi non sufficientemente competente, si chieda “cosa ci stia a fare ancora lì” e che la linea di credito concessale all'inizio si sia ormai esaurita.
Anche perché è probabile che se molti italiani, compresi giornalisti, osservatori, avversari politici, hanno finito per innamorarsene perdutamente nel febbraio del 2014 quando Maria Elena Boschi è diventata ministro, è stato anche per la fascinazione che ne subirono da un punto di vista prettamente estetico. Giovane, bella, sorridente: sono stati spesi fiumi di inchiostro per raffigurarla come una madonna in tacchi a spillo, leopardati per giunta.
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Il suo abbigliamento è stato analizzato ai raggi x. Addirittura le sue mollettine tra i lunghi capelli hanno guadagnato titoli sui giornali. Se oggi molti non la considerano più abbastanza brava, è perché non la vedono più nemmeno così tanto bella. Ma vale anche il contrario: appare meno bella, perché meno nuova, più logorata dal potere, dalle responsabilità di governo che oggi sono considerate divisive e quindi risulta anche meno brava.
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Più di altri suoi colleghe, Maria Elena Boschi è stata ed è vittima di un atteggiamento sessista che non ha mai smesso di denunciare nemmeno quando, come nel caso dell'attacco di Enzo De Luca in Direzione Nazionale contro la sindaca di Roma Virginia Raggi definita “bambolina imbambolata”, gli attacchi hanno riguardato le sue avversarie politiche.
Molti mesi fa, quasi all'inizio del suo mandato, aveva chiesto di essere giudicata “più per le riforme che per le forme”. La risposta arriverà a ottobre dalle urne. Ma questo forte calo di fiducia è già un campanello d'allarme.