Musica
January 08 2024
Era il giorno del suo 69.mo compleanno quando Blackstar fece la sua comparsa nei negozi e nelle piattaforme digitali. Era l'8 gennaio del 2016, e nessuno poteva immaginare che da lì a due giorni David Bowie se ne sarebbe andato da questo mondo.
Blackstar è molto più di un semplice album, il venticinquesimo della sua carriera, è la testimonianza geniale di una creatività senza limiti, di una capacità infinita di reinventarsi. L'ultimo sigillo di una traiettoria artistica illuminata, protesa ad anticipare il suono del futuro, incapace di adagiarsi sulle tendenze del presente. Per realizzare il disco Bowie si è rivolto ad un ensemble di jazzisti newyorkesi guidati dal sassofonista Danny McCaslin, che aveva scoperto in un minuscolo live club di Manhattan.
L'effetto di questa nuova ed ennesima contaminazione è un album di grande bellezza il testamento consapevole di un uomo che intravede la fine del suo percorso, come dichiarato più o meno esplicitamente dal produttore Tony Visconti: «Ha sempre fatto quello che voleva fare. E ha voluto farlo in questo modo, e voleva farlo nel modo migliore. La sua morte non è stata diversa dalla sua vita: un'opera d'arte. Ha fatto Blackstar per noi, è stato il suo regalo di addio. Sapevo da un anno che questa sarebbe stata la sua maniera. Non ero preparato, però: è stato un uomo straordinario, pieno di amore e di vita. Sarà sempre con noi. Ora possiamo piangere».
Blackstar è un mix inestricabile di suoni ed intuizioni che spaziano dal jazz al soul, dal rock al trip hop. Per quanto riguardo le parole, non è difficile rintracciare tra le pieghe dei testi i riferimenti alla malattia e alla morte, così come non è difficile cogliere nel sound d'insieme un velo di cupezza che avvolge tutte le canzoni. Dalla superlativa Lazarus («Guarda quassù, sono in Paradiso, Ho delle cicatrici che non possono essere viste, Ho una storia che non può essermi rubata, Ora tutti mi conoscono. Guarda quassù, amico, sono in pericolo, Non ho nulla da perdere») a Sue, alla title track, fino alla conclusiva I can't give everything away o ancora al capolavoro del disco, Dollar days uno dei pezzi più belli ed intensi dell'Intera carriera di Bowie. Composta in una manciata di minuti con il supporto di una semplice chitarra acustica, è un monologo crudo e straziante al tempo stesso, in cui Bowie, superata la paura della morte incombente, prende atto che la sua vita sta finendo. Il commiato geniale di un genio, che ha fatto degli ultimi giorni della sua vita un'opera d'arte.