Breve storia della presenza femminile in parlamento

Il commediografo greco Aristofane nel 392 a.C. si chiedeva, nella sua opera Donne al Parlamento, se proprio le donne fossero state in grado di salvare la città di Atene dalla crisi e dalle guerre. Sono passati oltre duemila e trecento anni e ancora non sappiamo dare una risposta a questo quesito e con ogni probabilità non la sapremo mai.

L’ultimo, di una lunga serie di tentativi che la storia ricordi, ancora una volta, non ha sortito l’effetto voluto o quanto meno desiderato. L’emendamento alla nuova legge elettorale sulla parità di genere tra uomini e donne nelle liste elettorali è stato miseramente bocciato dalla Camera dei Deputati che, ancora una volta, ha mostrato la sua retrosia, per usare un eufemismo, non tanto verso le donne, quanto nei confronti del rispetto della legge. Infatti, l’art. 51 della Costituzione della Repubblica Italiana, recita:“Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Ecco, quello che gli onorevoli avrebbero dovuto fare, era di riaffermare semplicemente l’articolo della Costituzione.

Ripercorrendo l’aneddotica delle cronache parlamentari, sembra di rivivere quello che accadde il 27 maggio 1959 alla Commissione Interni del Senato. Si discuteva della proposta di legge avanzata dall’onorevole democristiana Maria Badaloni, che sosteneva l’abolizione dell’articolo 174 del Testo Unico della legge comunale e provinciale che escludeva le donne dalla carica di Segretario Comunale. La proposta di legge della Badaloni non passò per dieci voti contro nove, anche perché, tra i colleghi maschi c’era chi sosteneva che un vigile non avrebbe potuto prendere ordini da una donna.

Sicuramente quei tempi sono lontani, e di conquiste le donne ne hanno fatte, ma quanto è cambiata realmente la condizione femminile in Italia in politica? La risposta l’abbiamo avuta il 10 marzo 2014.

L’elezioni del 1976, eravamo nel pieno del femminismo italiano, vennero salutate come un avvenimento storico per il Paese, in quanto le elette alla Camera erano state addirittura 50 e al Senato 11; il confronto con le elezioni precedenti del 1972, quando a Montecitorio erano state 25 e a Palazzo Madama solo 6, consentiva un simile entusiasmo.

Tina Anselmi, presidente della Commissione nazionale per la Parità (partigiana e presidente della Commissione d’inchiesta sulla Loggia P2), diceva:“oggi le donne in Parlamento sono solo il 12%. E le donne chiedono più spazi e una riforma istituzionale ed elettorale che colleghi più strettamente società e istituzioni”, era il 27 gennaio 1992 e da allora è passata una Repubblica di mezzo.

Per sedare i timori maschili tra i banchi del Parlamento, si potrebbero prendere in prestito le parole di Angela Maria Guidi che il 1 ottobre 1945 prese la parola alla Consulta Nazionale (era la prima donna oratrice a Montecitorio):“E non si tema un ritorno a un antico matriarcato. D’altra parte mi sembra che peggio di quanto son riusciti a fare gli uomini nel passato, le donne non potranno mai fare”.

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