Economia
July 30 2018
Non sarà il miglior leader che la Gran Bretagna abbia mai avuto, ma le condizioni in cui Theresa Maysi trova a lavorare non rendono affatto semplice il suo compito. Come ricorda il New Yorker, è entrata a Downing Street venti giorni dopo il referendum nel quale i cittadini britannici avevano deciso di lasciare l'Unione Europea e si è trovata davanti l’ingrato compito di negoziare una transizione dall'esito indefinito.
Uscire dall'UE può significare molte cose: si può rimanere associati a Bruxelles in forma molto stretta, come fa la Norvegia, oppure allontanarsene del tutto, per non parlare delle opzioni intermedie, che sono pressoché infinite.
Quale che sia l'esito finale della Brexit, tuttavia, il processo tramite il quale vi si arriverà non è affatto nelle mani della May. La Premier ha il compito di dover trovare un difficile equilibrio tra le pulsioni nazionaliste venate di populismo della campagna per la Brexit, sposate da oltre diciassette milioni di elettori, e la necessità di trovare un compromesso con gli esperti negoziatori di Bruxelles.
Lo scacchiere, tuttavia, è ulteriormente complicato da un'enormità di fattori esterni: la questione nordirlandese, che aveva trovato soluzione grazie all'ombrello europeo e che si è improvvisamente riaperta, è solo quella più spinosa. Ma anche pensando solo all'economia, su cui si è giocata una gran parte della campagna referendaria, l'uscita del Regno Unito implicherà un sicuro arretramento per Londra, che le stime effettuate dal medesimo gabinetto della May quantificano in un calo del Pil potenzialmente fino all'8%.
Il risultato è che, almeno sul piano economico, il compito della Premier è essenzialmente quello di limitare i danni, anche se non è ancora del tutto chiaro, nonostante la data dell'uscita si stia avvicinando, come questo possa concretizzarsi. La May ha avuto nel corso degli ultimi due anni un atteggiamento alquantoondivago: partita da posizioni molto dure e poco aperte a fare concessioni a Bruxelles, sembra essersi progressivamente resa conto che adavere il coltello dalla parte del manico sono i negoziatori UE, non i suoi.
Ma il realismo non ha ammorbidito il fronte interno e le recenti dimissioni dei falchi in seno al governo lo hanno dimostrato. A questo, si sono aggiunte le sparate di Donald Trumpche con il suo suggerimento di portare in Tribunale l'Unione Europea ha ringalluzzito i più oltranzisti. Il risultato è che la proposta di mantenere la libera circolazione delle merci, peraltro già indigesta a Bruxelles che considera indissolubili le quattro libertà a fondamento del Mercato Unico, è partita debolissima e rischia di essere un buco nell'acqua. Anche limitare i danni rischia di rivelarsi un compito improbo, specie per una figura che negli anni non ha definito un profilo politico forte sul tema e che quindi sembra ancor più soggetta a essere sballottata dagli umori del momento dei vari attori coinvolti.