Brexit: perché c'è chi vorrebbe accumulare scorte alimentari

Stockpiling. Ma davvero è possibile in Gran Bretagna nel 2018 parlare e scrivere di una corsa all’accumulo delle scorte di alimentari e medicinali?

Lo stockpiling è diventato un argomento frequentato dai media e dalla discussione politica. La questione è strettamente collegata alla Brexit, e al rischio che il paese arrivi alla scadenza del marzo 2019 senza aver raggiunto un accordo con la Ue: l'opzione no-deal.

La mancanza di un accordo, si dice, porterebbe alla chiusura delle frontiere del Regno Unito e a una paralisi degli scambi con il resto del mondo. Quindi a difficoltà di reperimento di merci essenziali per la vita e la produzione industriale.

BREXIT SENZA ACCORDO

Il ragionare sullo stockpiling è soprattutto un riflesso di un conflitto politico. Attorno alla possibilità/opportunità di arrivare a una Brexit senza accordo.

I duri sovranisti pro hard-Brexit, oscillano fra il dire che il paese se la caverà tranquillamente con il no-deal perché non avverrà nessun blocco dei porti e il sostenere che la Gran Bretagna è così forte e autonoma da poter far fronte a ogni emergenza di scarsità di importazioni.

D'altra parte, invece, Theresa May ha detto più volte che lo stockpiling è sensato e lo ha detto per convincere i conservatori recalcitranti davanti al programma del primo ministro per il nuovo accordo con la Ue: se non sostenete il mio piano, l'alternativa sarà, appunto, il catastrofico, no-deal. Quindi il paese meglio che prepari le scorte, visto che l'opposizione degli hard-brexiter potrebbe prevalere.

CATASTROFE NO-DEAL

Sul "Guardian" il primo di agosto, Jonathan Lis del thinktank "British Influence", ha scritto che la mancanza di accordo fermerebbe ogni camion britannico nei porti francesi per verificare il pagamento delle tariffe e il rispetto degli standard, bloccando il traffico sulla Manica. E che non basteranno certo le regole previste dal Wto per evitarlo, come sembrano sostenere i fautori della hard Brexit (e quindi del no-deal Brexit).

IL REGNO UNITO NON È IN GRADO DI AFFRONTARE LA CHIUSURA DEI CONFINI

L’"Economist" ci ricorda che questo non è un paese in grado di sopportare la chiusura dei confini: import e export rappresentano insieme il 60% del Prodotto interno lordo (per intenderci, due volte la percentuale degli Stati Uniti). La maggior parte del cibo arriva dall’estero, buona parte del quale attraverso i porti dell’Unione europea.

Il Regno Unito compra 50 miliardi di sterline all’anno (56 miliardi di euro, circa) in farmaci e alimenti (escluso il fresco) dall’Unione europea. Il che significa, d’altra parte che l’accumulo di scorte per un solo mese costerebbe circa quattro miliardi di sterline.

Vale a dire più di quanto il governo di Theresa May ha messo a budget, lo scorso novembre, come spesa necessaria per far fronte a un eventuale Brexit senza accordo.

QUASI NESSUNO ACCUMULA SCORTE

Improbabile dunque lo stockpiling di alimentari e farmaci, del quale, d’altra parte, dice sempre l'"Economist", non si ha - per ora - traccia: le importazioni sono infatti rimaste stabili negli ultimi mesi.

In generale, scrive il settimanale di Londra, i dati disponibili relativamente al complesso dell’economia britannica non indicano, salvo qualche caso isolto, che le imprese si stiano preparando a una Brexit senza accordo, il “no-deal” non viene ritenuto probabile.

Addirittura, le informazioni disponibili indicano se mai che le scorte di materie prime, macchine utensili e ricambi delle aziende manifatturiere sono in leggera contrazione. Il che testimonierebbe sì una preoccupazione per il futuro che però è il frutto dell’incertezza relativa a come sarà la domanda da parte del mercato dopo l’uscita dall’Unione.

L'"Economist" comunque non esclude che il passare delle settimane senza accordo con la Ue possa spingere aziende e organizzazioni pubbliche a accumulare più scorte, A quel punto, dice, il problema potrebbe essere lo spazio disponibile per immagazzinare le merci.

SÌ, SI ARRIVERÀ A UN ACCORDO

Lis però è convinto che la Gran Bretagna e la Ue un accordo lo troveranno. Perché sia May sia soprattutto la maggior parte del Parlamento sa che un no-deal sarebbe davvero una catastrofe per il paese.

Il primo ministro lascia che il discorso sullo stockpiling si diffonda perché così può funzionare come una specie di ricatto per i parlamentari, in modo da convincerli a sostenere la sua versione di accordo. Addirittura, potrebbe avere in mente di spingere l’opinione pubblica nella richiesta di un nuovo referendum sulla Brexit (ipotesi un po’ azzardata, in effetti questa di Lis).

È dunque l'improbabilità di una Brexit senza accordo che rende implausibile la necessità di creare delle scorte. La presunta grandezza britannica, ammonisce Lis, non permette di sfidare il senso di realtà. Il Regno Unito ha costruito il proprio tessuto economico sugli accordi europei e un no-deal spazzerebbe via tutto. E non ha il potere di negoziazione per legittimare in Europa e internamente una scelta per il no-deal. Questo, conclude Lis, è chiaro alla maggior parte dei parlamentari che eviteranno il tunnel senza uscita.

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