Musica
September 22 2019
"Non ho mai avuto un lavoro onesto in tutta la mia vita. Non ho mai fatto un lavoro di giorno onesto. Non ho mai lavorato dalle nove alle cinque. Non ho mai fatto un lavoro duro. Eppure è tutto ciò di cui ho scritto nelle mie canzoni. Sono diventato incredibilmente famoso nello scrivere brani su qualcosa che non conosco in prima persona”.
Parole di Bruce Spingsteen, che oggi taglia il traguardo dei 70 anni (è nato nato il 23 settembre del 1949 a Long Branch), pronunciate in un monologo del fortunatissimo spettacolo Springtseen on Broadway che è andato in scena al Walter Kerr Theatre di New York a cavallo tra il 2017 e il 2018, per un totale di 79 repliche sold out.
Lo spettacolo, scritto e diretto da Springsteen, è una sorta di bilancio della sua vita, dove racconta con partecipazione emotiva la sua infanzia, il rapporto con i genitori, l’influenza di Elvis Presley, l'impatto della guerra del Vietnam, le divisioni razziali dell'America, la fascinazione del deserto dell'Arizona e di Freehold, New Jersey, la città natale che decide di lasciare, dipingendola come un personaggio essenziale per la sua carriera, quasi fosse un membro della E Street Band.
"Vengo da una città di lungomare dove quasi tutto è stato costruito con l’inganno" -afferma Bruce nell’incipit- "E così sono io. Se non l'avete ancora capito."
Il cuore dello spettacolo è l’onesta nel dichiararsi "disonesto", mettendo in luce i suoi difetti, le sue contraddizioni e le sue mancanze, quasi a voler cancellare quell'aura di epicità che da sempre è associata alla sua persona.
In realtà il Boss (soprannome che lui detesta) è un artista che ha fatto delle verità e della forza espressiva i punti cardine della sua poetica rock a base di canzoni ricche di vita vissuta, storie di emarginati, corse notturne attraverso le infinite e polverose highways americane, voglia di riscatto, dolorose cadute e inaspettate risalite.
Nessun cantautore americano, dopo Bob Dylan, ha raccontato le strade infinite, le angosce esistenziali e le contraddizioni dell’America degli ultimi quarant’anni come Springsteen.
In fondo tutta la sua poetica ruota intorno ai temi dell’identità e del viaggio ed è questo uno dei segreti per capire lo straordinario senso di comunanza che il Boss è riuscito a instaurare con il suo fedele pubblico nel corso di oltre quarant'anni di carriera, in cui ha vinto 20 Grammy, un Oscar e un Tony,oltre ad essere stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame, aver ricevuto un Kennedy Center Honor ed essere stato nominato “Person of the Year” da MusiCares nel 2013.
Il cantante non è vissuto come una rockstar lontana e irraggiungibile, ma un working class hero del New Jersey che ce l’ha fatta e che vuole, attraverso la celebrazione sempre nuova di un rito esaltante quanto catartico come quello del concerto dal vivo, che ce la facciamo anche noi a trovare i nostri “glory days”, ma non prima di aver attraversato il nostro personale deserto.
I fan di Bruce Springsteen, un popolo numeroso, eterogeneo e di ogni età, sostengono che c’è chi è fan del Boss e chi non è mai stato a un suo concerto.
In effetti, al di là dei gusti musicali, è impossibile non lasciarsi coinvolgere dal vivo dall’energia e dal carisma di questo moderno sciamano del rock che rappresenta, nelle sua fisicità ancora esplosiva nonostante i 70 anni compiuti oggi, l’eroe americano tratteggiato dalla penna di Whitman.
Pensi a Springsteen e la prima immagine che ti viene in mente è quella di uno stadio pieno e traboccante di entusiasmo per il rocker del New Jersey, celebre per le sue trascinanti maratone musicali di quattro ore.
I live del Boss, artista che ha fatto delle verità e della forza espressiva i punti cardine della sua poetica, non sono semplicemente concerti, ma, per lunghezza e per intensità, delle vere e proprie messe laiche officiate dall’ultimo sciamano del rock.
A lui dobbiamo il merito di aver mantenuto in vita la fiamma del rock and roll, fin dal suo album di debutto Greetings from Asbury Park del 1973, inteso non come mera musica di intrattenimento, ma come strumento universale per prendere posizione e per risvegliare la coscienze assopite di una società ripiegata su se stessa, indifferente e iperconnessa, brandendo la sua Fender consunta come un'arma benevola.
Una lettura imperdibile, per i suoi ammiratori, è quella di Born To Run, la voluminosa autobiografia di 528 pagine, iniziata nel 2009 dopo lo show con la E Street Band durante il Super Bowl e che ha richiesto 7 anni di lavoro.
In Born to Run Springsteen ci racconta la sua infanzia a Freehold, nel New Jersey, un luogo pieno di poesia ma anche di potenziali rischi, destinato ad alimentare la sua immaginazione, fino al momento che Bruce chiama 'Big Bang': il debutto di Elvis Presley all’Ed Sullivan Show.
Fondamentale, per lui, è stata la scoperta di Bob Dylan nel 1965: «La prima volta che ho ascoltato Like A Rolling Stone avevo 16 anni, ero in macchina con mia madre e stavo ascoltando WMCA, quando ad un tratto partì quel colpo di rullante che suonava come se qualcuno stesse aprendo a calci la porta della mia mente».
Nel volume descrive il suo desiderio incontenibile di diventare un musicista, gli esordi come re delle 'bar band' ad Asbury Park e la nascita della E Street Band.
Con candore disarmante, per la prima volta Bruce illustra i tormenti interiori che hanno ispirato i suoi capolavori, a cominciare proprio da Born to Run, un brano che qui si rivela più complesso di quanto immaginassimo.
Una lettura illuminante per chiunque ami Bruce Springsteen, ma è molto più del memoir di una rockstar leggendaria: è un libro per spiriti pratici e inguaribili sognatori, per genitori e figli, per innamorati e cuori solitari, per artisti, fricchettoni e chiunque voglia essere battezzato nel sacro fiume del rock.
È raro che un artista racconti la propria storia in maniera così intensa e dettagliata. Come in tante delle sue canzoni (Thunder Road, Badlands, Darkness on the Edge of Town, The River, Born in the USA, The Rising e The Ghost of Tom Joad, per citarne solo alcune), nell’autobiografia di Bruce Springsteen troviamo l’ispirazione di un autore unico e la saggezza di un uomo che ha riflettuto a fondo sulle proprie esperienze.
Lo scorso 14 giugno ha stupito tutti con Western Stars, uscito a cinque anni di distanza dall’ultimo album di inediti, in cui il Boss è riuscito a stupirci ancora una volta con un genuino e malinconico soft rock d’autore, evocativo e ricco di archi.
Il diciannovesimo disco della carriera di Springsteen porta la sua musica verso nuove direzioni, prendendo in parte ispirazione dai dischi pop della California del Sud tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, come hanno rivelato i primi due singoli Hello Sunshine e There Goes My Miracle.
Uno stile musicale che aveva trovato nella Laurel Canyon il suo Eldorado e in Glen Campbell e Jimmy Webb due dei suoi maggiori autori.
«Questo lavoro è un ritorno alle mie registrazioni da solista con le canzoni ispirate a dei personaggi e con arrangiamenti orchestrali cinematici», racconta Springsteen, «è come uno scrigno ricco di gioielli».
Western Stars è stato registrato prevalentemente nello studio casalingo di Springsteen in New Jersey, con l’aggiunta di alcune registrazioni realizzate in California e a New York.
Nei tredici brani di Western Stars, tutti scritti dal rocker del New Jersey, troviamo una vasta gamma di temi tipicamente americani: dalle autostrade immense agli spazi desertici, dal sentimento di isolamento a quello opposto di comunità, dalla stabilità di casa alla speranza che non svanisce mai.
Il recente film Blinded by the Light, diretto dalla regista indo-inglese Gurinder Chadha (già autrice del delizioso Sognando Beckham) e ispirato alla vera storia del giornalista Sarfraz Manzoor, grande fan di Bruce Springsteen che grazie alle sue canzoni è riuscito a perseguire il suo amore per la scrittura, è un inno alla vita, a seguire le proprie passioni, a rompere lo status quo, a credere alla forza dell'amore e dell'amicizia, anche e soprattutto in un periodo dominato dal cinismo e dal sarcasmo.
Un vero e proprio balsamo per l'anima, scandito da 12 canzoni tra le più belle e significative del Boss che, su suggerimento della moglie Patti Scialfa, ha voluto concedere i suoi brani a un film con un piccolo budget, ma con un grande messaggio di speranza.
Il 25 ottobre arriverà nei cinema l'eponimo film, diretto a quattro mani con il suo amico e fedele collaboratore Tom Zimny, a metà strada tra il documentario della performance con cui, in un fienile di casa sua, ha suonato i pezzi di "Western Stars" e un visual che illustra con immagini gli intensi brani dell'album.
Springsteen ha confermato che entrerà in studio con la E Stret Band in autunno, per poi intraprendere insieme un tour mondiale nel 2020 che farà tappa anche a Roma e, probabilmente, anche in qualche altra città italiana.
Insomma, nonostante le 70 primavere, Bruce non ha alcuna intenzione di fermarsi e di appendere la chitarra al chiodo.
Ci sono ancora tanti sogni da insegure, tante canzoni da scrivere e tanti concerti ai quali dare il 100% delle sue energie.
Emblematici, in questa sua continua tensione verso il futuro e l'altrove, sempre un passo avanti rispetto a ieri, questi versi di Born To Run: "Un giorno ragazza, non so quando, arriveremo in quel posto/ Dove davvero vogliamo andare e cammineremo al sole/ Ma fino ad allora i vagabondi come noi sono nati per fuggire".