Bruno Pellegrino, il prediletto di Craxi che si è scoperto pittore

Facce dalla pelle turchese che paiono schizzar fuori dalle profondità marine. Occhi dolorosi e angosciati che non si possono guardare. Ritratti di femmine carnose ma fragili come i sogni. Volti furenti di maschi che forse hai incontrato in altre vite, ma che non sono mai esistiti. Fiori infiammati di rosso sangue, pesci. E poi i colori che si scontrano temerari: l’arancione che si tuffa nel verde, l’azzurro che possiede i volti, il rosso ardito delle bocche... Ottanta pitture, soprattutto ritratti, che sono in mostra al complesso del Vittoriano a Roma fino al 3 ottobre. Titolo di questa personale d’esordio: Primi piani. Autore: Bruno Pellegrino, che per molti anni è stato politico e giornalista, uomo di cultura e di mondo. Chi scrive di lui parla naturalmente di una vita improvvisamente reinventata oltre i sessant’anni. Di un incontro con il pennello che ha del miracoloso. Io credo invece che la pittura di Bruno sia una «conseguenza» naturale e fatale della sua esistenza. Un destino che gli covava dentro, certo. Ma come dimenticare che per anni e anni Pellegrino ha respirato cultura e si è riempito gli occhi di qualunque arte?

Il nostro novello pittore è stato nel 1970 il socialista della cultura (uno dei «ragazzi» che il «dio Craxi» prediligeva e stimava). Me lo ricordo sorridente coi suoi panciotti di velluto come il «Virgilio» di quel Turati che è stato il club milanese più visitato da dibattiti sulla politica, ma anche la casa di riformisti e di signore illuminate che in quel tempo popolavano Milano. Era uomo gentile ed elegantissimo, colto e dalla battuta indimenticabile. Qualcuno che riusciva a far ridere perfino un burbero inespugnabile come Alberto Moravia. Tanto che quel suo grande amico mi disse un giorno di lui: «Pellegrino? È uno dei miei pochi antidoti alla noia». Ma insieme alla politica e agli altri molti impegni sposati (è stato anche consigliere d’amministrazione della Rai e senatore della Repubblica) Bruno non ha mai sacrificato la passione per l’arte. I grandi amici li incontrava all’Accademia di Brera nel circolo degli artisti e dei pittori che giravano intorno ad Andrea Cascella. «Prima e dopo l’ufficio l’Accademia era per me una vera calamita» racconta. Per non parlare di quando, diventato il responsabile della cultura nel Partito socialista, Pellegrino divide con Carlo Ripa di Meana ogni «travolgente avventura» della Biennale veneziana. «Forse è vero» dice oggi «per anni mi son nutrito di arte, l’ho aspettata… e poi d’improvviso è schizzata fuori nel mio pennello».

Rimane che una storia è quella dell’uomo che l’arte la coltiva, un’altra quella di chi non avendo mai preso in mano una matita riesce a dipingere decine di ritratti l’anno. «Convalescente dopo una difficile operazione, una sera scopro disegni rinascimentali bellissimi». Allora come guidato da una mano incantata Bruno prova a copiarli e, sorpresa, «mi sembravano intensi e ben riusciti. Dal giorno dopo non ho più lasciato il pennello». Il risultato sono queste facce potenti che gridano solitudine ed evocano mistero. Ritratti unici perché raccontano gente inesistente. «Mi piace farmi guidare dall’emozione dei colori trattando i volti come paesaggi, perdermi nei chiaroscuri e nelle ombre. E così raccontare i volti dell’anima».

Leggi Panorama on line

YOU MAY ALSO LIKE