Business Confidence 2022: come stanno le società europee in Cina

Mentre il resto del mondo sta tornando alla normalità dopo la pandemia COVID-19, le rigorose misure di contenimento attuate dalla Cina continuano ad aggravare le difficoltà di accesso al mercato interno della seconda economia mondiale

In tali circostanze, la Camera di Commercio dell'Unione Europea in Cina ha pubblicato il sondaggio annuale“European Business in China: Business Confidence Survey 2022”, evidenziando che, sebbene la maggior parte delle aziende europee in Cina abbia riportato ricavi positivi e sia risultata redditizia per il 2021, svolgere attività commerciali in Cina è di fatto diventato più complesso.

Va notato che le aziende più grandi sono riuscite ad affrontare meglio le numerose difficoltà presentatesi nel corso dell’anno, come ad esempio le frequenti interruzioni di corrente elettrica di fine 2021, grazie alla vasta disponibilità di risorse in loro possesso. Inoltre, in questo contesto le grandi imprese hanno avuto maggior influenza nei negoziati con le autorità locali sul mantenimento delle loro operazioni, mentre solo poche delle piccole-medie imprese (la maggior parte degli intervistati) hanno giovato di questo lusso e di conseguenza i loro profitti ne hanno risentito maggiormente.

Tra problemi di accesso al mercato, trasferimenti di tecnologia obbligatori, trattamento sfavorevole, catene di approvvigionamento malfunzionanti, nonché limitazioni sull’ingresso e uscita dalla Cina, come faranno le aziende europee ad affrontare questa “bufera” e quali sono le prospettive future nell’ambito imprenditoriale?

Panoramica sul mercato

In pratica, il 60% degli intervistati ha riportato difficoltà nello svolgere la propria attività di impresa in Cina nel 2021, il che significa un 13% di aumento dei dichiaranti di tale problematica rispetto all’anno scorso. Questa è la continuazione di una tendenza già presente nel 2014, quando questa domanda è stata posta per la prima volta ai membri della Camera europea, il che è particolarmente preoccupante dato il suo carattere cumulativo.

Per il secondo anno consecutivo, il COVID-19 rappresenta l’ostacolo principale per le future attività commerciali delle aziende europee che operano in Cina (ovvero il 69% degli intervistati), con conseguente riduzione dei viaggi di lavoro (64% degli intervistati) e complicazioni nel prendere decisioni commerciali e di investimento (33 % degli intervistati).

Le difficoltà nello spostamento di persone e merci hanno portato carenze di approvvigionamento per le aziende, nonché complicazioni nello stabilire relazioni con partner e clienti (74% degli intervistati); disagi nel garantire nuovi affari (60% degli intervistati); e ostacoli nella raggiunta dei risultati finali di progetto (42% degli intervistati).

Ai fini di garantire l’esattezza delle suddette statistiche, i dati utilizzati nel sondaggio Business Confidence 2022 sono relativi a inizio anno, prima delle ricadute geopolitiche dell'invasione russa dell'Ucraina avvenuta il 24 febbraio e antecedentemente all’ulteriore inasprimento delle misure di sicurezza adottate dalle autorità cinesi per cercare di contenere i focolai di Omicron, implementando blocchi di massa a Jinan, Shanghai, Shenyang e in altre aree della RPC, i quali sono serviti solo ad aumentare l'effetto destabilizzante sulle operazioni delle società europee nell’incertezza del mercato cinese.

Prospettive per le imprese europee

A tal proposito, sono state intervistate aziende europee che hanno costituito joint ventures con un partner cinese. Nel 2021 il 37% degli intervistati ha scelto di aumentare la propria partecipazione nell'attività d’impresa, un record rispetto al 2020, quando tale numero era pari al 26%. Anche la percentuale di aziende che ha acquisito una quota di controllo nella loro società di joint venture o hanno rilevato il proprio partner è aumentata del 12% su base annua.

Il fatto che le aziende europee abbiano un migliore accesso ad alcune aree di mercato può essere in parte dovuto alla loro recente rimozione dalla Negative List, l’elenco dei settori e delle attività non aperte agli investimenti esteri, e all'abolizione nel 2020 dei tetti massimi d’investimento.

L’accesso al mercato e il contesto normativo

In termini di accesso al mercato, c'è stato solo un incremento dell'1% su base annua nel numero di aziende che hanno visto un miglioramento in tal direzione. Tuttavia, in generale le imprese riportano che i loro investimenti continuano ad essere limitati da restrizioni varie e un buon 40% degli intervistati ha riferito di aver perso opportunità di business nel 2021 a causa di restrizioni o barriere normative, una tendenza che è continuata a persistere senza particolari cambiamenti negli ultimi sette anni

Come prova dell’interesse delle imprese europee verso il mercato cinese, due intervistati su tre hanno dichiarato di essere disposti ad aumentare i propri investimenti in Cina se fosse loro concesso un maggiore accesso al mercato. In effetti, negli ultimi anni si è rilevato un aumento dei flussi di investimento in settori con condizioni di accesso migliori, ed un esempio chiave ne è l’industria automobilistica. Infatti, nel primo semestre 2022 la BMW ha ufficialmente aperto la sua nuova fabbrica da 15 miliardi di RMB – circa 2 miliardi di euro. - nella citta’ di Shenyang (Cina) e Tesla nello stesso periodo ha annunciato un investimento da 200 milioni di euro per l’espansione della sua mega fabbrica di Shanghai con l’assunzione di ben 4000 nuovi dipendenti.

Un'altra importante dichiarazione viene da tre quarti delle società intervistate con interessi in Cina, le quali hanno affermato di voler implementare un incremento dei propri investimenti pari al 5% del proprio fatturato annuo nel caso le condizioni di accesso al mercato cinese fossero più agevolate, con il 16% di tali imprese disposto ad aumentare l’investimento in un range dall’11 al 20%, e il 14% disponibile ad effettuare un aumento superiore al 20%.

In sostanza, gli investitori europei sono disposti e pronti ad impegnarsi nella propria espansione verso il mercato cinese, mentre la Cina continua a promuovere un multilateralismo che aspetta a manifestarsi pienamente nel mercato.

L’esodo degli espatriati

Le misure di contenimento del COVID-19 in Cina hanno avuto un impatto significativo sulla forza lavoro estera delle imprese. Infatti, è in corso uno spostamento di massa delle risorse umane alla ricerca di nuove opportunità in paesi terzi, causa l'incertezza del vivere e lavorare in Cina. Un intervistato su cinque ha infatti segnalato un calo dei dipendenti stranieri dallo 0 al 25% negli ultimi cinque anni, il 9% ha riportato una diminuzione tra il 26 al 50%; e, cosa più sorprendente, quasi uno su dieci ha riferito come il numero dei propri dipendenti stranieri si sia dimezzato.

Di fronte a una continua evoluzione di complicate procedure di istanza per visti e permessi di lavoro, e limitazioni estreme ai visitatori in entrata e uscita dalla Cina, il 58% delle aziende (+9% su base annua) ha riferito di aver fatto fatica ad attrarre i migliori talenti nazionali e internazionali e il 42% (+9% annuo) hanno riferito di aver avuto difficoltà nel mantenere i talenti già impiegato.

In termini di “soft power” e diplomazia, gli stranieri che lavorano nella RPC sono stati a lungo i migliori "ambasciatori" della Cina all'estero, lodando spesso gli aspetti positivi delle loro esperienze nel paese e che ora vengono a mancare in questo momento di tensione geopolitica.

Da un punto di vista più commerciale, gli effetti negativi della perdita di dipendenti stranieri per le imprese europee includono una riduzione nel trasferimento di know-how e delle migliori pratiche (38% degli intervistati); difficoltà di comunicazione tra le case madri e le filiali in Cina (34% degli intervistati); piani di investimento posticipati (8% degli intervistati); e la necessità di chiudere le operazioni in Cina (3% degli intervistati).

Conclusioni

All'inizio del 2022, le condizioni del contesto imprenditoriale cinese sono rapidamente peggiorate, con ricadute geopolitiche dovute alla guerra in Ucraina e a severi blocchi per contenere i focolai di Omicron, che hanno portato le imprese europee ad affrontare una serie di ostacoli sia a livello nazionale che internazionale.

Tuttavia, con la moltitudine di incertezze e preoccupazioni sollevate dalle imprese europee nel corso dell’anno precedente, è opportuno menzionare i vantaggi del mantenere la rotta e perseverare nei propri impegni nel mercato cinese.

Essendo uno dei più grandi hub manifatturieri del mondo e, soprattutto nel recente periodo, un vivace ecosistema di innovazione, le aziende europee considerano imperativo continuare a far parte della Cina, la quale, nonostante la moltitudine di problematiche, è ancora un mercato dall’enorme potenziale. Inoltre, la RPC ha dimostrato di essere un punto di riferimento per le attività di ricerca e sviluppo (R&S), in particolare per le grandi multinazionali, con il 40% degli intervistati che pone la Cina ad un livello superiore alla media globale.

Le imprese europee nel mercato cinese stanno avanzando nel processo di diminuzione delle emissioni, e più della metà di quest’ultime punta a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030, rendendosi promotrice dei piani di decarbonizzazione della Cina, e dimostrando che maggiore è la collaborazione da entrambe le parti e più grande sarà la spinta verso un miglioramento del mercato.

A cura di: Avv. Carlo D’Andrea, Vice Presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina


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