Economia
April 18 2016
Circa 7 milioni di dipendenti del settore privato e oltre 1 milione e mezzo di impiegati pubblici. Sono gli italiani che, a partire da questa settimana, riceveranno per posta la Busta Arancione, cioè il documento spedito dall'Inps che contiene delle simulazioni sull'importo delle pensioni future. Un lavoratore ancora in attività, anche se giovane, potrà dunque capire già adesso cosa lo aspetta in vecchiaia, stimando con largo anticipo quanti soldi riceverà ogni mese dall'ente di previdenza, durante la terza età.
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Lo scopo della Busta Arancione (che prende il nome d un analogo documento creato in Svezia e recapitato per posta ai cittadini in un caratteristico involucro di color arancio) è permettere ai nostri connazionali, soprattutto a quelli che avranno una pensione molto bassa, di correre per tempo ai ripari, creandosi una rendita integrativa o un serbatoio di risparmi per evitare di ritrovarsi poveri in vecchiaia.
Le ipotesi di fondo
Prima di aprire la busta arancione e leggerla, però, i destinatari debbono tenere a mente alcune avvertenze importanti. Per calcolare l'importo delle pensioni future, l'Inps ha dovuto basarsi necessariamente su alcune ipotesi di fondoriguardo alla carriera del lavoratore, alla crescita dei suoi redditi e all'andamento del pil (prodotto interno lordo) o dell'inflazione: tutti fattori che possono influire in maniera significativa sull'ammontare della pensione futura. Nel fare le simulazioni, per esempio, si presuppone che il lavoratore giunga alla vecchiaia dopo aver svolto una carriera continua, senza lunghi periodi di disoccupazione. Inoltre, si ipotizza che il pil italiano cresca ogni anno di un livello compreso tra l'1 e l'1,5%.
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Cosa accadrà se lo scenario preso in esame dalla Busta Arancione non si verificherà nei decenni a venire? I lavoratori potrebbero avere alla fine una pensione più alta di quella stimata dall'Inps, ma anche un assegno più basso, nel caso in cui le loro carriere prendessero una brutta piega o se il pil italiano dovesse seguire ancora un andamento stagnante. Stando alle regole attuali, infatti, le pensioni pubbliche future verranno in gran parte calcolate col metodo contributivo, cioè in base alla quantità di contributi versati nel corso di tutta la carriera. In pratica, ciascun lavoratore versa ogni 12 mesi all'Inps una certa quantità di accantonamenti previdenziali, che si accumulano nel tempo e vengono rivalutati annualmente in base alla crescita del pil nominale (cioè del prodotto interno lordo italiano, tenendo conto anche dell'inflazione). Se il pil sale dell'1%, per esempio, nell'anno successivo i contributi accantonati si rivalutano della stessa quota.
Se i conti non tornano
Alla fine della carriera, tutti soldi versati dal lavoratore (e opportunamente rivalutati) vanno a costituire un montante finale, che viene moltiplicato per un valore che si chiama coefficiente di trasformazione (variabile in base all'età) e che serve per calcolare l'importo esatto dell'assegno pensionistico. Esempio: chi ha accumulato 100mila euro di contributi in tutta la carriera e si mette a risposo a 70 anni ottiene una pensione di poco più di 6.300 euro annui (poco più di 500 euro al mese), così calcolata: 100mila euro ( montante finale a fine carriera) X 6,378% (coefficiente di trasformazione previsto per i 70enni)=6.378 euro. Fatte queste premesse, non è difficile capire che, per effetto del metodo contributivo, molti lavoratori potrebbero avere un'amara sorpresa in vecchiaia. Chi attraversa lunghi periodi di disoccupazione, infatti, mette da parte molti meno contributi di quelli stimati nella Busta Arancione. Inoltre, se l'andamento del pil italiano sarà ancora stagnante dei prossimi decenni (ma c'è da augurarsi di no) i contributi versati dai lavoratori si rivaluteranno ben poco, molto meno di quel tasso dell'1-1,5% previsto dalla stessa Busta Arancione. Dunque, per quanto utili, le simulazioni dell'Inps vanno comunque sempre prese con le molle.