Perché ci servono nuovi caccia Eurofighter
L’Aeronautica Militare italiana riceverà 24 nuovi velivoli Eurofighter Typhoon (Efa) entro la fine del decennio, ovvero nel momento in cui sarà completata la dismissione dei Tornado ancora attivi e dovrà essere ritirata dal servizio la Tranche 1 degli stessi Efa. Due settimane fa la Difesa aveva infatti inviato al Parlamento lo schema del decreto per l’approvazione del programma (registrato come atto del governo n.176).
I nuovi Typhoon dovrebbero essere quelli definiti di nuova generazione (NG), con interfaccia uomo-macchina (strumentazione) rinnovata e più integrata, un nuovo computer di missione, il nuovo radar del tipo Aesa Captor-e Mk2 e un sistema di autoprotezione elettronica rinnovato. Infine, i nuovi velivoli dovranno essere in grado di gestire droni gregari durante le missioni.
Oltre a questi macrosistemi, al momento non sono stati comunicati altri dettagli, ma è probabile che il rinnovamento comprenda anche altre componenti più visibili all’esterno degli aeroplani. Il programma prevede un investimento di 7,4 miliardi di euro dei quali sono già stati finanziati 690 milioni, fatto per permettere all’Aeronautica Militare di sviluppare migliori capacità operative, necessarie in un quadro internazionale che vede forti investimenti nello stesso settore da parte di nazioni non Nato. Oltre a questo, l’operazione consentirà alla nostra industria di fruire di una notevole ricaduta tecnologica e a mantenere il volume di lavoro dello stabilimento Leonardo di Torino Caselle. Faranno parte della commessa anche il supporto logistico per tutta la flotta degli Eurofighter e l’addestramento alla manutenzione compreso in un programma quinquennale. Come sempre la decisione ha visto i partiti all’opposizione muovere forti critiche per l’ammontare dello stanziamento, tuttavia, bisogna ricordare che il compito degli Efa è quello di poter colpire in profondità il nemico e per questo è già in corso l’integrazione del missile a lungo raggio Storm Shadow.
In pratica, con l’aggiornamento l’Aeronautica eviterà che si verifichi una mancanza di capacità adeguata ed anzi, che l’Arma Azzurra possa essere tecnologicamente idonea prima che entri in servizio il velivolo previsto dal programma Gcap. Peraltro, gli stessi Efa di nuova generazione potranno costituire la piattaforma ideale per sviluppare alcune delle funzionalità del velivolo appartenente alla generazione successiva, sviluppando nuove tecnologie e mantenendo efficiente l’importante e complessa catena di fornitura delle parti.
La filiera della Difesa è fortemente impattata da questa decisione, in particolare aziende come Mbda, Avio Aero e decine di altre appartenenti ai raggruppamenti aerospaziali di Piemonte, Lombardia, Umbria e Campania. Particolarmente interessante su questo piano sarà quindi il salone aerospaziale britannico di Farnborough, la cui edizione 2024 si aprirà lunedì 22 luglio.
Trent’anni dopo il primo volo e con 680 velivoli ordinati dalle quattro nazioni partner e dai cinque clienti export, dei quali 603 unità sono state consegnate e hanno volato oltre 850.000 ore, il Typhoon, velivolo gestito dal Consorzio Eurofighter Gmbh – continua a costituire il principale progetto europeo di collaborazione industriale nel campo della Difesa. In particolare, l’italiana Leonardo partecipa con una quota del 21% nella definizione, progettazione, sviluppo e produzione del velivolo. Considerando le quote di responsabilità relative alla costruzione della cellula dell’aereo e quelle relative all’avionica e all’elettronica di bordo, la quota complessiva di Leonardo raggiunge il 36% circa del valore dell’intero programma.
Gran parte del lavoro legato all’evoluzione del caccia potrà quindi esser trasferito nei programmi “Combat Air” di prossima generazione, per i quali l’Eurofighter potrà fungere da dimostratore di tecnologie, consentendo una sostanziale riduzione del rischio nella fase di progettazione. In termini occupazionali il programma coinvolge circa 100.000 persone delle quali 20.000 in Italia (tra occupazione diretta, indiretta e indotta), distribuite su oltre 400 fornitori totali dei quali la metà sono italiani. Altri ottimi numeri sui quali ragionare prima di prendere decisioni politiche insensate, come avvenne mezzo secolo fa quando l’Italia si rifiutò di entrare nel capitale di Airbus. Salvo poi divenirne cliente e fornitore.
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