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March 14 2013
Chiamarsi Francesco è come chiamarsi Gesù, è una scelta di portata radicale, come a dire che la chiesa non sarà più come è stata in precedenza».
Il nome più che l’appartenenza all’ordine dei gesuiti. E’ in quel nome “Francesco” che il filosofo Massimo Cacciari individua la radicalità della scelta di Jorge Mario Bergoglio a capo della Chiesa.
Una chiesa che inevitabilmente cambierà sia geograficamente (a pesare sull’elezione di Bergoglio sarebbe stata la fiducia dei vescovi americani, come ha spiegato il cardinale Timothy Dolan) quanto nel peso che attribuirà alla lotta alla povertà e alla nuova immagine che verrà data alla Curia di Roma.
Pensare che da sempre l’appartenenza all’ordine dei gesuiti è stata considerata la vera causa che avrebbe allontanato dal soglio pontificio il defunto cardinale Carlo Maria Martini.
Ordine, quello dei gesuiti, fondato da Ignazio da Loyola nel 1534 e da li a poco compagnia sempre più influente all’interno della Chiesa anche grazie all’insegnamento che ha impartito. Scuole e collegi presto divenute un modello d’insegnamento in Europa a partire dal Collegio Romano che per secoli ha istruito le famiglie nobili di Roma.
«Un altro gesuita che mi viene subito in mente è il papa Clemente XIII che ha combattuto una fiera battaglia nei confronti del pensiero illuminista», ricorda sempre Cacciari convinto della straordinarietà della scelta che il conclave ha sancito.
Da sempre, tuttavia, i gesuiti hanno dovuto fare i conti con la propria stessa autorevolezza e potere tanto che la compagnia è stata sciolta da papa Clemente XIV per il suo “contropotere” e per quell’etichetta “papa nero” che è stata affibbiata al Preposito generale della Compagnia. Pensare che nonostante lo scioglimento i gesuiti mai si opposero (sarà il successore di Clemente XIV a ripristinare l’ordine) alla decisione, ed è proprio in questa cieca obbedienza, ma attenzione come precisa Cacciari «si parla di un’obbedienza per convinzione», una delle peculiarità dei gesuiti.
«Competenza, grande spirito di corpo, attaccamento all’ordine, capacità politica» sono le caratteristiche dei gesuiti come spiega il filosofo che s’interroga però sulla capacità di interloquire con una società secolarizzata come quella europea.
«Dalle notizie che si hanno, parliamo di un papa a stretto contatto con la povertà come san Francesco. Poi bisogna capire se il nuovo papa riuscirà con la stessa facilità a parlare con una popolazione secolarizzata, questo è da vedere».
E se la sua parsimonia è già ampiamente raccontata – dalla volontà di servirsi del metrò, il pasto frugale, il suo rapporto con i malati tanto da celebrare la lavanda dei piedi con i malati di aids, le origini piemontesi da emigrato – ancora presto è anticipare le mosse contingenti che lo attendono: dallo Ior, fino alla relazione che il papa emerito Benedetto XVI ha lasciato nelle stanze vaticane al successore.
«Seguirà la linea tracciata da Ratzinger, poi ripeto nomen omen, il nome dice tutto. Chiamarsi Francesco è come chiamarsi Gesù», aggiunge sempre Cacciari. Insomma, non serve concentrarsi sulla radice di Bergoglio, nonostante di un ritorno in auge della Compagnia di Gesù già si parla.
Ordine che in Italia è stato fonte d’istruzione per l’attuale classe dirigente (hanno studiato Mario Monti, Mario Draghi, Giuseppe De Rita presso i gesuiti) e che nel mondo conta di oltre 21.000 seguaci.
Scienziati, umanisti, uomini d’ingegno a cui da ieri si lega la volontà di assomigliare a un giullare di Dio.