La Russia non ferma l’avanzata di Kiev. Cade il mito russo

E ancora, l’imbarazzo generale della catena di comando, che conferma la sorpresa dello Stato maggiore e dell’intera Russia, colpita nell’orgoglio proprio laddove ottant’anni fa si svolse il più grande scontro tra carri armati della Storia, con i panzer tedeschi battuti dai T-34 sovietici, cosa che diede a Mosca la fiducia di poter battere i nazisti e alimentò la retorica nazionale sull’invincibilità russa.

Basterebbe questo per comprendere quanto il Cremlino sia stato còlto alla sprovvista in una guerra che lentamente, per inerzia o per caparbia, stava invece girando a suo favore. Fino a ieri, infatti, il fattore tempo era dalla parte di Mosca, con l’aggressore che stava costantemente conquistando territorio, logorando le forze ucraine e soverchiandole per numero e per armamenti praticamente in ogni settore. Ecco perché l’incursione verso Kursk e Belgorod, in pieno territorio russo, è un «game changer» e può davvero costituire un fattore decisivo nel prosieguo del conflitto. Un attacco inedito e imprevisto che lascia immaginare come l’Ucraina disponga ancora di risorse – e soprattutto di strategie – maggiori delle aspettative. Lo si era capito in parte già nel 2022, quando la mancata presa di Kiev dimostrò al mondo la disorganizzazione russa e la fragilità delle sue difese (la riconquista quasi immediata della regione di Kharkiv quella primavera è lì a testimoniarlo). Ora abbiamo la certezza che anche tra i russi iniziano a serpeggiare i dubbi, con non pochi generali che si domandano quale senso abbia insistere in questo folle piano che Vladimir Putin ha preteso e deciso quasi da solo.

Se l’attacco ucraino verso Kursk è stato sorprendente perché contro-intuitivo, in realtà tale azione non rappresenta affatto una novità nella linea strategica predisposta da Kiev, che ha sempre dichiarato le proprie intenzioni: «Se Putin bombarda Kiev, perché mai noi non potremmo colpire Mosca?» diceva il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, già nella primavera del 2022. All’epoca Kiev non aveva né la forza negoziale né militare per osare tanto, anche in ragione del fatto che gli Stati Uniti proibivano qualsivoglia azione in territorio russo e gli europei restavano scettici. Oggi, invece, l’Ucraina ha dalla sua sia la compattezza dell’Occidente sia, soprattutto, gli F-16. I jet da caccia finalmente recapitati a Kiev sembrano in grado di poter fare molto male alle difese russe. Specie dopo che i generali ucraini hanno studiato e compreso le ragioni per cui il golpe della scorsa estate di Evgenij Prigozhin – il capo dei mercenari della Wagner che si erano rivoltati contro gli alti comandi russi e che sono stati fermati prima che giungessero a Mosca – sia fallito: non disponeva di alcuna copertura. Quella stessa copertura che, invece, gli aerei da guerra possono garantire. E che, a quanto pare, sono stati impiegati (o lo saranno presto) anche nel settore di Kursk.

Al tempo stesso, il tentato colpo di stato ha rivelato alcuni punti deboli dei russi: «Abbiamo osservato con attenzione la dinamica della rivolta [della Wagner, ndr] e abbiamo visto che i sistemi di sicurezza interni russi sono molto deboli, se non inesistenti. Superate le linee di difesa attorno al confine ucraino, poi muoversi nel Paese è relativamente facile. Mosca è un colabrodo. Persino la capitale appare indifesa» riferisce Kyrylo Budanov, capo dell'intelligence militare ucraina. A quanto pare, alla luce dell’incursione su Kursk, le cose stanno davvero così. E non serve a cancellare l’umiliazione patita il fatto che Putin abbia ordinato di sganciare una bomba termobarica – tra le più micidiali e potenti al mondo – sui soldati ucraini penetrati in terra di Russia. Ormai la frittata è fatta. Gli ucraini sono avanzati per oltre 30 chilometri nella regione e, ad oggi, sono ancora lì (secondo alcune fonti, starebbero persino costruendo fortificazioni).

Ora, se è estremamente improbabile che l’Ucraina stia cercando di occupare a lungo termine il territorio russo, è certo che l’obiettivo minimo dell’incursione è quello di attirare le forze di Mosca per distoglierle dai settori di Kharkiv e Donetsk, dove gli ucraini sono in seria difficoltà. E questo si sta rapidamente realizzando: le bombe russe sganciate nell’area di Donetsk sono significativamente diminuite da allora, riferiscono i soldati in prima linea. Ciò significa che gli aerei che le trasportano sono ora altrove, a tentare di sigillare il confine violato. Dunque, già questa manovra di alleggerimento può considerarsi una netta vittoria (anche psicologica) per Kiev, specie dopo l’inefficace e deludente controffensiva dello scorso anno, arenatasi ancor prima di iniziare e costata troppe vite agli ucraini. Ovviamente, per realizzare l’azzardo, a Kiev è stata concessa una sorta di autorizzazione da parte dell’Occidente – tanto gli Usa quanto l’Ue e il Regno Unito – per un’operazione di queste dimensioni sul territorio russo e per l’utilizzo anche là di armi occidentali. Sebbene incursioni simili siano già avvenute in passato, è la prima volta che le forze regolari ucraine vengono utilizzate in questo modo.

Detto ciò, difficilmente l’incursione a Kursk farà cambiare idea ai russi sulla necessità di proseguire la guerra, ma la proporzione dell’avanzata ucraina e la sua durata ci diranno quanto efficace sia stata la sua strategia. Intanto, pare che l’apertura del nuovo fronte sia più imponente di quanto inizialmente segnalato: centinaia di soldati russi fatti prigionieri, intere colonne nemiche spazzate via, decine di villaggi occupati. Se è vero, come sostiene il ministero della Difesa russo, che «sono 1.610 i soldati ucraini morti nel corso dell’operazione su Kursk», e che Kiev avrebbe perso anche «32 carri armati, 23 mezzi da trasporto blindati, 17 veicoli di fanteria e 136 blindati da combattimento», ciò significa che le forze impiegate dall’Ucraina nel settore sono superiori alle stime.

Già oggi pare che siano almeno tre le brigate impegnate nell’avanzata, per un totale di circa 10 mila uomini, contrariamente alle prime notizie che riferivano di meno di duemila soldati impegnati nella manovra. L’apertura del fronte di Belgorod sembra confermare questa informazione, così come la dichiarazione dello stesso Vladimir Putin secondo cui «i tentativi di Kiev di destabilizzare i territori russi di confine potrebbero estendersi presto alla regione di Bryansk» ovvero ancora più a nord, verso il confine con la Bielorussia. La calma relativa della regione di Bryansk e l’inattività delle forze armate bielorusse (alleate di ferro del Cremlino) potrebbero non durare, e quindi «dobbiamo prepararci per scenari diversi», ha aggiunto lo stesso Putin, citato dall’agenzia Ria Novosti.

Vedremo presto. Intanto, la certezza è che Kiev non è doma e non pare disposta ad arrendersi. «Più pressione viene esercitata sull’aggressore che ha portato la guerra in Ucraina – è la linea rimarcata dal presidente Zelensky – più la pace sarà vicina». Forse questa seconda parte non corrisponde al vero, ma i tentativi del Cremlino di presentare il fallimento nel difendere il proprio territorio come una prova del perché la Russia dovrebbe continuare a condurre la sua guerra non convincono nessuno. In definitiva, come suggerisce l’analista militare Mykhaylo Zhyrokhov, per il momento «gli avvenimenti nella regione di Kursk hanno più domande che risposte», ma almeno una certezza c’è: Mosca non è impenetrabile né invincibile. Il mito su cui Vladimir Putin aveva costruito la sua ascesa è caduto.

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