Calcio e Covid: 10 cose imparate dalla vicenda del Genoa

Era prevedibile che prima o poi la bolla del calcio, quel sistema di controlli messo in piedi per riuscire a tornare in campo dopo il lockdown, venisse bucata. Perfetto a giugno e luglio, messo sotto stress dal ritorno delle vacanze degli eroi del pallone, il protocollo scritto dalla Figc dopo lungo confronto con i club e il Governo ha mostrato i suoi limiti nella vicenda del focolaio esploso all'interno del gruppo squadra del Genoa. Una vicenda che ha messo a nudo alcuni deboli e criticità, ma che ha anche confermato quanto il mondo del pallone resti unico nel suo genere perché non esiste nessun'altra attività sociale, economica e lavorativa che in tempi di pandemia sia sottoposta di continuo alla verifica dei tamponi.

Il dibattito che si è aperto sulle responsabilità di quanto accaduto e su come intervenire (c'è addirittura chi si spinge a immaginare una sospensione temporanea del campionato) ha permesso, però, di mettere in fila alcune certezze. Ecco cosa si è capito fin qui dalla storia delle positività al Covid-19 nello spogliatoio del Genoa:

1) Nessun sistema, nemmeno quello che prevede tamponi ogni quattro giorni e ha la possibilità anche di farne tre in 72 ore come il calcio professionistico, è in grado di garantire che un positivo asintomatico si mescoli in mezzo ad altre persone sane;

2) Non aver previsto per iscritto cosa succede nel caso di un focolaio numeroso dentro un gruppo squadra è stata una leggerezza. Che qualche partita salti è fisiologico e normale, ma sarebbe stato meglio normare il tutto in anticipo;

3) Nel calcio di Serie A ci sono 'tanti' positivi perché si fanno una marea di tamponi. Molto più che in qualsiasi altra attività. E, dunque, se il portiere del Genoa risulta positivo il venerdì i suoi colleghi di lavoro e tutti quelli venuti in contatto con loro vengono testati due o tre volte nell'arco delle 72-96 ore successive. Una pesca a strascico utile per la salvaguardia della salute di tutti, ma che certamente rende inutile ogni comparazione statistica con il resto del mondo;

4) Per intenderci, cosa sarebbe venuto fuori se qualcuno si fosse preso la briga di tamponare tutti i presenti in una piazza qualsiasi dell'ultima campagna elettorale? Quella con mascherine calate, selfie, abbracci e via discorrendo?

5) Pensare di fermare il calcio perché dentro un gruppo squadra c'è un focolaio è una follia. Come immaginare di chiudere tutti i ristoranti d'Italia perché in quello sotto casa tua ci sono alcuni positivi. Nessuno pensa a chiudere i ristoranti, non si capisce perché si possa avviare un dibattito qualsiasi sull'opportunità di andare avanti con il campionato;

6) O forse si capisce benissimo, ricordando il tenore della discussione primaverile in pieno lockdown ("Perché mai si dovrebbe fare giocare undici milionari mentre si contano i morti?") che a fatica è stata ricondotta in una più ragionevole valutazione del peso economico dell'industria calcio e sport. Del resto c'è un vice ministro che, come ricetta, ha dettato un poco rassicurante "basta abbracci in campo" che è una soluzione pronta all'uso ma anche un modo un po' semplicistico di ridurre tutta la questione;

7) La vicenda Genoa indica che non è il momento giusto per ridurre il numero di tamponi per garantire che si giochino i campionati, come pure il CTS ha accettato proprio nelle stesse ore delle positività liguri;

8) La curva dei contagi di questo autunno, seppur dolorosamente, può giustificare la massima prudenza nella riapertura anche parziale degli stadi. Dovrà essere poi lo Stato a trovare i mezzi per supportare economicamente perdite da centinaia di milioni di euro, esattamente come avviene in molte altre attività economiche di questo Paese e senza farsi scudo della demagogia anti-calcio;

9) Meglio prepararsi al peggio scrivendo adesso, subito, regole e protocolli per l'emergenza. E' vero che può sembrare esercizio sterile ma è l'unica cosa da fare per non ritrovarsi nel caos di marzo;

10) Il calcio italiano dà grande visibilità a tutti e sta sulle palle a molti. Forse per questo il focolaio nel Genoa è diventato rapidamente uno dei problemi nazionali invece di restare semplicemente una questione interna al sistema del pallone e alle sue componenti. Non deve sorprendere, essendo in Italia, ma adesso c'è una prova in più che sia così.

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