Calcio
January 12 2022
Un grido d'allarme che parte dalle serie al di sotto della Serie A, ma che si unisce a quello dei top club e che lancia un appello: il calcio italiano ha bisogno di interventi immediati e, se possibile, concreti per non crollare davanti alla nuova emergenza pandemica. Dopo aver perso oltre un miliardo di euro in un anno e mezzo (1,2 la stima degli studi più avanzati), il rischio è che il dilagare della variante Omicron che ha spinto la Lega Serie A ad autolimitare la capienza degli stadi, imitata dalla Serie B, infierisca su un settore allo stremo e per il quale lo Stato ha fin qui stanziato solo briciole.
Battaglia per la sopravvivenza, durissima, che vede allineati insieme grandi e piccoli con il resto del mondo dello sport ad assistere da spettatore interessato. Perché la crisi ha colpito duro anche altrove (basket e volley per primi) e tutti denunciano la mancanza di ristori che altrove hanno ammorbidito la caduta. Il pallone no, malgrado l'indotto e il peso fiscale e contributivo da oltre 1,2 miliardi di euro all'anno e nonostante il 2021 di successo di cui anche la politica si è servita quando è stato il momento di celebrare i campioni d'Europa. Tutto dimenticato.
E' in questo clima che i club della Serie B e della Serie C hanno partorito l'idea di rivolgersi al numero uno della FIGC, Gabriele Gravina, impegnato in una proficua trattativa con il Governo per arrivare a un protocollo condiviso, evitare l'intromissione continua delle ASL e mettere in garanzia il finale di stagione. La ragione della supplica, sotto forma di richiesta di convocazione di un Consiglio Federale straordinario, perché la FIGC si allinei a quanto previsto dalla Legge di Bilancio dello scorso 30 dicembre e che prevede il rinvio delle scadenze fiscali e contributive per le società professionistiche al prossimo dicembre 2022 andando oltre quanto già stabilito, per cercare di evitare il crac complessivo, dagli uffici federali.
Rimandare i controlli a febbraio (per i pagamenti fino a ottobre 2021) e maggio (per quanto dovuto a novembre e dicembre 2021) non è sufficiente, insomma, per garantire che nessuno salti in aria. Misure, si legge nel documento, che "non sono stati fattori sufficienti a scongiurare la crisi che ancora oggi, a distanza di due anni, affligge l’intero settore del calcio professionistico". e che, quindi, devono essere rafforzate. Pagare adesso non si può, soprattutto in un momento in cui il calcio in parte si è fermato e dove non lo ha fatto (o sta riprendendo) si auto inflitto limitazioni di pubblico che toccano direttamente il fatturato delle società.
Del resto i dirigenti hanno ben presente, a tutti i livelli, che dovranno fare da soli così come è stato fin qui dalla drammatica primavera del 2020, quella del lockdown in cui l'allora Governo in carica arrivò anche a pensare di bloccare definitivamente i campionati. I ristori per il mondo dello sport sono stati concessi a pioggia soprattutto ai suoi lavoratori. Alle aziende - in questo caso le società - sono arrivate le briciole e nemmeno queste: 56 milioni di euro per ripagare le attività di prevenzione (tamponi) e sanificazioni. E di queste solo una miseria, 5 milioni di euro, sono finite alla Serie A che ha sopportato costi infinitamente superiori per rispettare i protocolli voluti dal CTS e necessari per non arrivare al blocco.
Dalle parti della Lega Serie A (ma non solo) il malcontento è tangibile. Il passo indietro fatto dopo l'intervento del Presidente del Consiglio Draghi, con la chiusura a massimo 5000 spettatori per evitare le porte chiuse, è stato accompagnato da riflessioni sul diverso trattamento ottenuto da altri settori dell'intrattenimento che, alla pari del calcio, hanno perso oltre un miliardo di euro causa Covid. E' l'esempio del cinema, cui sono andati 1.069,5 milioni di euro di fondi tra strutturali e a fondo perduto.
Una disparità che ha travolto anche il resto della piramide dello sport. Qualche dirigente di basket e volley, ragionando a voce bassa, fa notare come anche laddove il botteghino è tutto o quasi il fatturato, essendo marginali i diritti tv, lo Stato non si è mosso forse proprio perché spaventato dall'idea di dover rifondere anche l'industria calcio, con i suoi numeri esagerati e con il rischio di essere accusati di ripagare gli stipendi delle star viziate del pallone.
Il punto di ricaduta per tutti, però, è che così non si può andare avanti a lungo. Né in uno stadio, né nei palazzetti. A febbraio urge tornare a capienze piene, come accade altrove in Europa, per provare a lasciarsi alle spalle l'emergenza che costa decine di milioni di euro ogni fine settimana. Per dare un parametro di giudizio, dal marzo 2020 al giugno 2021 con gli impianti sbarrati la Serie A ha perso oltre 400 milioni di euro alla voce incassi e altri 100 è in programma di perderli in questa stagione, sempre se potrà tornare a rimettere la gente dentro gli stadi. Altrimenti sarà notte fonda.