Tutti i nodi del campo largo in Liguria

Il nuovo campo largo del centrosinistra, adesso possiamo dirlo, sembra più un campo minato. Lo scenario è la Liguria, dove l’ex ministro Andrea Orlando si è candidato per il dopo Toti. Ma il sogno di Elly Schlein di ricompattare il centrosinistra cominciando da Genova si scontra con la dura realtà.

Al momento la risorta coalizione di centrosinistra ha lasciato per strada il centro, perché ad accettare il nome di Orlando sono solo Pd, Movimento Cinque Stelle e Avs. Che fine hanno fatto i moderati? “Azione” di Calenda, che già non gode di numeri eclatanti, si è spaccato al suo interno, tra il partito locale che non vede l’ora di sostenere Orlando, e la nomenklatura nazionale, che invece è ancora indecisa. Anzi, alcuni suoi esponenti (come Mariastella Gelmini ed Enrico Costa) vorrebbero schierarsi addirittura con il centrodestra, convinti di avere più affinità con i conservatori che non con gli ultra-ecologisti alla Fratoianni. E forse non hanno tutti i torti.

C’è poi l’annoso nodo Renzi. Già, perché l’ex premier, in perenne fibrillazione machiavellica, vorrebbe tornare a dare le carte, giocando il ruolo del playmaker del campo largo. L’abbraccio mediatico con Elly Schlein alla partita del cuore pare fosse il primo passo del diabolico progetto renziano. Ma con quale coerenza Matteo Renzi, che ha demolito il governo giallo-rosso di Conte, potrebbe mai entrare in pompa magna nel campo largo, senza trasformarlo in un campo di battaglia? Peraltro, il problema è che a Genova Italia Viva sostiene la giunta di centrodestra del sindaco Bucci, e i renziani presenti in municipio ancora non si sono espressi: non sarà facile convincerli a staccare la spina per motivi di forza maggiore. Nel frattempo, Schlein pungola Renzi (“Non tenga il piede in due scarpe”) e Romano Prodi adopera l’ironia evangelica: “Prima deve pentirsi”.

In questo festival della piroetta, a prescindere dal fatto che si vincano o si perdano le regionali, c’è il serio rischio per tutti di perdere la faccia. Sono timori che agitano anche Giuseppe Conte, che vede l’ingresso renziano nel campo largo come un pugno in un occhio: “Resuscitare Renzi avrebbe un costo pesantissimo”. Ma non è solo una questione di ruggini pregresse o di antipatie personali: la battaglia vera, quella che ancora deve cominciare, sarà sul programma. Ricordiamoci che il sogno del campo largo dovrebbe essere quello di costituire una valida alternativa al governo Meloni, almeno nella mente dei suoi promotori. Ma sui temi cruciali i leader che ne fanno parte sono divisi da fratture grandi come canyon, persino sulla collocazione del nostro Paese sullo scacchiere internazionale. Per dire: qual è la posizione del campo largo sulla guerra in Ucraina, o sulle infrastrutture, o sul salario minimo, o sulle privatizzazioni, o sulle regole riguardanti la cittadinanza?

Eppure di progetti concreti non si parla. Siamo ancora alle schermaglie a mezzo stampa. Cose già viste su quel versante politico. Di solito lo sbocco naturale, da quelle parti, consiste nell’allestire un’armata Brancaleone cementata esclusivamente dal desiderio di arrivare al potere, o peggio ancora da un giustizialismo scomposto sulle ceneri della giunta Toti (e anche in questo caso Renzi sarebbe in forte difficoltà). Insomma, se questo è il nuovo campo largo, le prospettive sarebbero tutt’altro che larghe: ristrettissime.

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