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November 17 2014
I repubblicani hanno vinto, anzi hanno stravinto le elezioni di Midterm. Si sono ripresi la maggioranza al Senato dopo otto anni all’opposizione, hanno consolidato il predominio alla Camera e hanno aggiunto tre nuovi nomi alla colonna dei governatori. Una brutta batosta per i democratici e per Barack Obama, presidente in crisi di consensi costretto ad attraversare gli ultimi due anni della presidenza da «anatra zoppa». I conservatori sperano che questa vittoria sia soltanto un antipasto. Il piatto principale, va da sé, è la riconquista della Casa Bianca nel 2016, quando dall’altra parte della barricata molto probabilmente ci sarà la donna più potente d’America, Hillary Clinton. Se i nuovi eletti stanno studiando la strategia da applicare a gennaio, quando si insedieranno a Washington, gli strateghi del partito dietro le quinte mettono le basi per la costruzione del candidato perfetto, facendo tesoro di quanto emerso nell’ultima ondata elettorale.
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LA MODERAZIONE DI JEB BUSH
Il fratello più giovane di George W. Bush è considerato un repubblicano moderato, soprattutto in fatto di immigrazione, uno dei suoi temi forti da quando era governatore della Florida. Dice che l’amnistia per i clandestini è un «atto d’amore».
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Il Grand Old Party ha dimostrato di poter essere competitivo in queste elezioni frammentate e sparse per il paese, dove il messaggio elettorale può essere modulato a seconda delle esigenze locali, ma va in crisi quando si tratta di raccogliere le idee e radunarle dietro il volto di un candidato che sia credibile ma anche «inspirational». In grado cioè di conquistare il cuore degli americani e non solo di articolare un programma elettorale. Poi si tratta di ricompattare le fila del partito, sfilacciato in varie correnti che abbracciano tanto il riformismo moderato e dialogante, quanto le passioni libertarie del Tea Party. In molti sensi, i repubblicani hanno vinto il Midterm trasformando le divisioni interne da debolezze in punti di forza. Il partito non ha promosso un messaggio unitario, ha evitato di condurre una campagna unificata, lasciando libertà di manovra ai singoli candidati, che hanno adattato le varie campagne alle circostanze specifiche.
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LA DIVERSITA' DI MARCO RUBIO
Il senatore della Florida è il volto ispanico del partito repubblicano. Su certi temi parla il linguaggio del Tea Party, ma su altri (vedi alla voce immigrazione) abbraccia le posizioni dei «reformicon», i conservatori moderati che stanno diffondendo il loro verbo nei think tank di Washington.
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Quello dei neoloetti repubblicani è un gruppo assai eterogeneo. La veterana dell’Iraq Joni Ernst è diventata la prima a conquistare un posto al Congresso nello stato dell’Iowa (location strategica in vista delle presidenziali: è dallo stato rurale di Des Moines che parte la corsa verso la Casa Bianca). E lo ha fatto brandendo il diritto a portare armi da fuoco, evocando complotti dell’Onu per «togliere alla gente le terre rurali, spostare tutti nei centri urbani e spogliarli dei loro diritti alla proprietà» e negando che i cambiamenti climatici siano da attribuire all’attività dell’uomo. Il mondo di Ernst si divide in «makers» e «takers», quelli che producono ricchezza e quelli che la sfruttano come parassiti, e l’aborto dovrebbe essere consentito solo se la madre è in pericolo di vita. Ernst ha condotto una campagna a metà fra il Tea Party e la destra religiosa.
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LA RETORICA DI CHRIS CHRITIE
Dopo mesi passati a disinnescare uno scandalo cavalcato dai suoi avversari, il governatore del New Jersey è tornato in pista sfoggiando le sue enormi doti di comunicatore. È capace di adattare registro e vocabolario all’uditorio in modo estremamente convincente.
L'EXPERTISE DI PAUL RYAN
Il capo della commissione budget alla Camera ha già mostrato la sue qualità di studioso di economia nella campagna con Mitt Romney. In questi anni ha moderato la sua posizione: da tenace tagliatore della spesa pubblica si è trasformato in un politico più accorto, capace di navigare al centro.
L'AUDACIA DI ROBERT PORTMAN
Fino a poco tempo fa il senatore dell’Ohio era noto per essere stato uno degli uomini più vicini a George W. Bush e per essere arcitradizionale, un conservatore orientato ai temi economici. Ora è noto per essere stato uno dei primi repubblicani a cambiare posizione sulle nozze gay, dopo che suo figlio ha fatto coming out.
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Di segno opposto la campagna di Cory Gardner, neosenatore del Colorado, che ha spazzato via il veterano Mark Udall presentandosi con idee moderate, riformiste, condite da un registro retorico, pacate e senza eccessi. Quando l’avversario l’ha accusato di essere un estremista pro life, si è detto a favore della legalizzazione di tutti i metodi contraccettivi senza prescrizione medica. Lo spostamento al centro sulle questioni etiche è piaciuto agli elettori del liberal Colorado, dove è stato anche bocciato il referendum per concedere al feto lo status di persona. Tom Cotton, 37 anni, neosenatore dell’Arkansas, ha costruito la sua campagna su idee aggressive e neoconservatrici in politica estera, cavalcando l’inadeguatezza di Obama di fronte alla minaccia dell’Isis. E ha promesso, in linea con l’ala più intransigente del partito, di revocare l’Obamacare. In North Carolina è stato eletto a sorpresa Thom Thillis, insider locale che nel 2012 ha condotto la campagna referendaria (vincente) per mettere fuori legge il matrimonio gay. Il governatore del Wisconsin, Scott Walker, ha vinto la terza elezione in quattro anni concentrandosi quasi solo sulle ricette per rivitalizzare il mercato del lavoro e tagliare le spese. La sua battaglia contro l’immobilismo dei sindacati è diventata un simbolo per i conservatori orientati alle soluzioni concrete più che all’esibizione di principi astratti. Fra questi c’è anche il governatore del New Jersey, Chris Christie, un possibile candidato alla Casa Bianca che in quanto capo dell’associazione dei governatori ha viaggiato in lungo e in largo per sostenere i colleghi repubblicani. Gli uomini a lui più vicini dicono ne abbia approfittato per studiare il panorama conservatore, fatto di contraddizioni ed elementi complementari, dove l’intransigenza libertaria si scontra con la destra religiosa della Bible Belt e con la propensione al compromesso che emerge dove l’elettorato è più spostato a sinistra. Difficile, in tale contesto, trovare un filo conduttore. Il Gop s’è imposto con le arti mimetiche del camaleonte, non con la forza di un’idea sintetica.
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L'ETICA DI BOBBY JINDAL
Il governatore di origini indiane della Louisiana è stato un vociante avvocato della libertà religiosa, tema su cui Obama ha ingaggiato una battaglia all’ultimo sangue con la conferenza episcopale Usa. Le riforme che ha promosso nel settore educativo testimoniano la sua attenzione al tema.
I VALORI DI RICK SANTORUM
Cattolico, di origini italiane, cresciuto nel mondo working class della Pennsylvania, è il pro life per eccellenza. A suo agio quando parla di matrimonio gay e aborto, lo è un po’ meno su economia e politica estera. Alcuni risultati del Midterm indicano però che le sue parole d’ordine non sono del tutto superate.
L'ENERGIA DI RAND PAUL
Nessun candidato potenziale catalizza le passioni dei millennial quanto il libertario Rand Paul. Eroe del Tea Party, si è allontanato dalle posizioni più intransigenti del padre Ron per creare un brand libertario più mite
e alla portata di tutti. La minaccia di Isis l’ha convinto a moderare il suo isolazionismo.
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Peccato che la sfida in vista del 2016 consista nel trovare un candidato che rappresenti una sintesi fra le varie sensibilità. In mancanza di un favorito, quello che serve al Gop è un patchwork politico, un animale mitologico, un eroe multiforme in grado di rispondere alle esigenze dell’elettorato conservatore. Il candidato ideale deve esibire la postura aggressiva in politica estera di Tom Cotton, saper parlare la lingua suadente del compromesso come Cory Gardner, avere il pedigree patriottico e le idee intransigenti di Joni Ernst. Dal governatore Walker deve prendere il pragmatismo e la sfacciataggine che l’ha portato a definirsi «progressista» in un’intervista al Wall Street Journal. Nella tornata di Midterm sono andati alle urne per lo più gli americani che tradizionalmente preferiscono i conservatori, mentre giovani, donne e minoranze etniche hanno disertato il voto: è lì che il partito repubblicano deve maturare. E per farlo deve affidarsi ai suoi uomini più moderati, coltivatori di fruttuosi compromessi, da Jeb Bush a Chris Christie. Dal vecchio Mitch McConnell, prossimo leader del Senato e vincitore dell’ennesimo mandato in Kentucky, il candidato del 2016 deve prendere la capacità di navigare in diverse acque e a diverse velocità senza lasciarsi intrappolare in definizioni ed etichette. Il candidato perfetto deve poi strizzare l’occhio al mondo libertario e al Tea Party, perché nel cuore dell’America profonda e rurale c’è ancora la guerra contro lo strapotere del big government. Deve riuscire a parlare di crescita e creazione di posti di lavoro, ma anche di lotta alla povertà. Deve mandare in pensione l’immagine del declino Usa nel mondo e allo stesso tempo tagliare la spesa pubblica. Deve essere un perfetto intreccio delle caratteristiche emerse fra i candidati vincenti nelle elezioni di Midterm, sperando che dal laboratorio repubblicano non venga fuori un Frankenstein.
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IL RADICALISMO DI TED CRUZ
Il senatore del Texas è così a destra che prima della vittoria di Midterm ha messo in discussione la leadership di Mitch McConnell, che considera, con disprezzo, uomo dell’establishment. Cruz vuole la revoca dell’Obamacare, la chiusura delle frontiere e l’impegno totale dell’America nel mondo.
IL PRAGMATISMO DI SCOTT WALKER
Questo figlio di un pastore protestante del Wisconsin ha vinto il mandato di governatore per la terza volta in quattro anni. E l’ha fatto con un programma basato sul risanamento del bilancio e la lotta ai sindacati che hanno bloccato il mercato del lavoro. Si dice pro life, ma di questioni etiche parla meno possibile.
L'ESPERIENZA DI MITT ROMNEY
Nel 2012 è stato spazzato via da Obama, ma anche Ronald Reagan ha corso per due volte senza successo prima di diventare il presidente più amato dai conservatori. Il know-how accumulato può essere decisivo per un candidato poco carismatico, ma che può proporre soluzioni efficaci.
L'IRRUENZA DI RICK PERREY
L’ex governatore del Texas è noto per eccessi linguistici e gaffe, ma guardando sotto la superficie è innegabile che ha trasformato il volto del suo stato. Due anni fa ha condotto malamente le primarie repubblicane, ma
una strategia più accorta potrebbe favorire un candidato estremamente popolare al sud.