Cannes, "I, Daniel Blake": Ken Loach racconta la povertà estrema d'Inghilterra
I, Daniel Blake di Ken Loach, presentato venerdì in concorso al Festival del cinema di Cannes, è un pugno nello stomaco, pronto a colpire l'indifferenza.
Loach, 80 anni il 17 giugno, aveva annunciato di andare in pensione, almeno con i film di finzione dopo Jimmy's Hall, ma la sua capacità di indignarsi e la sua voglia di farci vedere la società è stata più forte.
Non pensava a un film quando con il suo amico e sceneggiatore di sempre Paul Laverty è andato a visitare, per motivi di impegno personale, una food bank, uno di quel posti - ce ne sono tanti anche in Italia in associazioni o sacrestie - dove ci si mette in fila per ricevere pasta, scatolette, olio se si è bisognosi.
Quell'umanità dolente, che combatte una battaglia per la sopravvivenza, una propria sociale resilienza, li ha profondamente colpiti.
In Italia la prossima stagione
I, Daniel Blake - in Italia in sala la prossima stagione con Cinema di Valerio De Paolis - è una tragica storia di quotidiana nuova estrema povertà.
E poi c'era una questione politica, "in Inghilterra va avanti da tempo una disgustosa propaganda contro il welfare, lo spreco dei soldi per l'assistenza sociale, con continui episodi anche di vessazione verso chi riceve i contributi. Ebbene, siamo andati a conoscerli e la realtà è davvero drammatica".
Se il cinema è per definizione magia, fantasia, sogno, ecco state alla larga dai film di Ken Loach, specie da I, Daniel Blake perché il regista del free cinema inglese, di Riff Raff, LadyBird LadyBird, di Piovono Pietre, di Paul, Mick e gli altri, palma d'oro con Il vento che accarezza l'erba, prende lo spettatore e lo mette di fronte alla realtà più dura.
Il protagonista Daniel (Dave Johns), 59 anni, è un brav'uomo di Newcastle, un carpentiere d'esperienza, da qualche mese in malattia dopo un attacco di cuore, troppo poco malato per ricevere la pensione d'invalidità, troppo attivo per l'assistenza sociale.
Alla sua età deve subire la burocrazia del jobcentre, diventare un anziano digitale, spedire esclusivamente via internet le sue richieste, farsi un curriculum e cercare lavoro e rispettare certe procedure, altrimenti c'e' la sanzione e si perde ogni chance.
Salvare il lavoro per restare vivi
"Salvare il lavoro significa restare vivi", dice Loach che per questa storia ha approfondito con Laverty la realtà inglese del welfare "per scoprire che tra coloro che cercano lavoro sono 2 milioni quelli che lo cercano per ricollocarsi dopo averlo perduto e che migliaia di persone sono a rischio suicidio. Abbiamo conosciuto storie così surreali che se le avessimo messe nella sceneggiatura - prosegue Laverty - sarebbero risultate non credibili".
E proprio in una delle visite al jobcentre il protagonista conosce una giovane madre disperata (Hayley Squires) con i suoi due bimbi. Si forma così un quartetto di grande solidarietà, di sostegno reciproco. Ma non basta a salvarsi.
Lo strazio della nuova povertà
"Questi due personaggi - dice Loach - sono inventati, sintesi delle decine di persone che abbiamo conosciuto, straziate dalla nuova povertà, dalla perdita del lavoro, dal precipitare giorno dopo giorno in un baratro economico, sociale, fisico. Ovunque la disperazione è enorme, per questo la propaganda contro l'assistenza sociale è crudelissima, per questo il problema è politico perché non basta la compassione tra le persone, l'umanità che pure si trova tra i singoli, l'arrangiarsi, il sopravvivere".
Personaggio brechtiano
La tragica vicenda di Daniel Blake, un personaggio brechtiano l'ha definito Loach, "aveva bisogno di semplicità, linearità di racconto. Il tono del film è stato la cosa più importante da definire, i momenti al jobcentre sono persino tragicomici".
(Ansa)
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