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November 20 2019
Nel quartiere Santa Lucia di Napoli, sotto la sede della Regione, non trascorre giorno senza che si radunino un centinaio di lavoratori licenziati o a rischio. Si tratta di donne e uomini che arrivano da luoghi diversi della Campania e hanno spesso idee politiche contrastanti. Tuttavia, le loro idee di sinistra, centro o destra convergono sempre su un punto d’accordo, in seguente: non è vero che gli italiani non vogliono più fare i lavori ora appaltati agli stranieri. Gli italiani chiedono soltanto che per quegli stessi lavori vengano corrisposti salari dignitosi. Lamentano, infatti, che l’arrivo in massa di migranti ha svalutato il costo della manodopera. A determinate condizioni, in condizioni di schiavitù, loro preferiscono non lavorare. È questione di dignità.
L’ampia premessa serve a introdurre i risultati operativi che l’eroica task force anti-caporalato dei carabinieri - composta dai Nas e dal Comando tutela lavoro - ha presentato mercoledì 20 novembre.
Nel biennio 2018-2019 l’Arma ha individuato oltre 3 mila lavoratori vittima di sfruttamento. Ci sono romeni (600), pakistani (500), cinesi (300), marocchini e bengalesi (200) ma anche - e questo è colpo al cuore dei manifestanti napoletani – ben 344 italiani, soprattutto meridionali. Vuol dire che molti nostri concittadini hanno deciso già di svenderlo, il loro lavoro. Pur di non fare la fame.
Tra l’altro, l’azione dei carabinieri permette di comprendere che il caporalato non è soltanto un fenomeno del Mezzogiorno d’Italia. La media degli ultimi due anni conta, è vero, il 48 per cento degli irregolari localizzati al Sud, ma il restante 52 si distribuisce per il 20 per cento nel centro Italia, il 19 nel nord-ovest, il 13 nel nord-est.
Le irregolarità sono emerse soprattutto nel settore agricolo, che da solo conta il 51 per cento dei casi di sfruttamento. Tuttavia, con il 28 per cento, il terziario non è esente. Meno peggio va nel comparto industriale (19 per cento). Solo il 2 per cento riguarda l’edilizia, un dato che ha comunque portato al sequestro di 67 cantieri, soprattutto per la mancanza di sicurezza sul lavoro.
«L’aumento dei casi di irregolarità individuati» spiega il generale Claudio Vincelli, a capo delle Unità specializzate dell’Arma «si deve al coordinamento dell’attività di Nas e Nil ma anche agli effetti della legge 199 del 2016, che prevede adeguati strumenti di protezione e assistenza delle vittime dello sfruttamento». Il generale Adelmo Lusi, a capo dei Nas, aggiunge che «la grande idea è stata proprio quella di unire le forze e predisporre una pianificazione che coinvolgesse i reparti di Tutela Salute e Tutela Lavoro, in modo da effettuare dei controlli più completi, aiutati anche dalle informazioni che arrivano dai reparti territoriali, che io chiamo “i nostri occhi e le nostre orecchie”».
Informazioni preziose, quelli delle caserme di prossimità, utilissime per scoprire che lo sfruttamento si è palesato in 263 casi con retribuzioni scandalose, in 239 per condizioni di igiene e sicurezza da quarto mondo mentre 218 sono stati i lavoratori costretti a orari massacranti.
Per quanto riguarda il lavoro nero, i controlli hanno riguardato 96mila lavoratori: il 30 per cento è risultato irregolare. Per la precisione, nel periodo gennaio 2018-settembre 2019, il Comando Tutela del lavoro ha deferito all’autorità giudiziaria 10.601 sospetti, tra i quali 201 portati in carcere. I Nuclei Ispettorato del lavoro hanno verificato le posizioni di 94.784 persone presso 28.476 aziende. Hanno scovato 16.596 lavoratori in nero, di cui solo un terzo, 5.805, sono extracomunitari. Un altro colpo al cuore dei manifestanti di Napoli.
Quanto ai minori, i casi illeciti individuati sono stati 460. Un dato impressionante, come quello sugli adulti che lucravano sulla pelle dei contribuenti onesti. Soltanto tra maggio e ottobre, «nel corso dei controlli abbiamo scoperto 84 persone che erano lavoratori in nero, ma contestualmente percepivano il reddito di cittadinanza», sottolinea il generale Gerardo Iorio, a capo del comando Tutela lavoro.
Insomma, meno male che l’Arma c’è. Per chi lavora e chi un lavoro lo cerca. A Napoli come altrove.