Lifestyle
April 08 2013
La prima gara della MotoGP in Qatar ha entusiasmato le masse come uno di quei film di fantascienza in cui le magie dei più moderni e sofisticati effetti speciali in 3D, mettono insieme personaggi del passato con quelli del futuro.
E' stato un po' come vedere cantare insieme a Sanremo Luciano Pavarotti e Marco Mengoni, o veder correre Pietro Mennea con Oscar Pistorius, o guardar giocare a pallone Pelé con Messi...
No, non regge, nessun paragone s'ha da fare. Non si può descrivere, il grande spettacolo a cui si è assistito ieri sera nella notte di Losail, perché non si vedeva nulla del genere dal 2009.
Valentino Rossi, 34 anni, 9 titoli mondiali, fino a sabato scorso era considerato oramai da molti un “esodato” del motociclismo, dopo che una serie di vicissitudini nel 2010 – la rottura della spalla durante un allenamento e poi quella di una gamba nel sabato di prove al Mugello - avevano iniziato a piegare verso il basso la curva della sua carriera agonistica.
Rossi chiuse quella stagione in terza posizione e andò a cambiar aria trasferendosi in Ducati, dove concluse i due anni in settima e sesta posizione.
Rossi è finito. Rossi è vecchio. Rossi è bollito. Il Dottore non è riuscito a curare la rossa, significa che non è più capace.
Non è stato per nulla facile credergli sempre, con uno Stoner che però qualche volta a farla andare – quella Ducati – ci era riuscito eccome. Non è stato sempre logico pensare che avesse ragione, con tutte quelle modifiche – telai mica telai – che lo spiegamento di forze di tutta un'azienda e l'intero reparto Corse avevano messo a disposizione del biondo. Non è stato facile continuare ad amarlo come persona – se non semplicemente come pilota – quando demoralizzato e sfinito dai continui prova-e-riprova,
Valentino gettava la spugna e smetteva di combattere anche solo per trasformare in quinta la sesta posizione, o quando le sue labbra rosicchiate e tirate non potevano contenere rimproveri ed improperi nei confronti di chi lo faceva correre sulla rossa con uno stipendio hollywoodiano.
Ma chi ha sempre saputo amare Valentino Rossi al di sopra di ogni ragionevole dubbio, sa anche che per il campione riccioluto è proprio la rabbia il propulsore più potente in grado di innescare sul suo polso destro i pruriginosi stimoli della vittoria.
Il talento, l'esperienza, la forma fisica, una moto giusta, la fortuna, le gomme buone... Tutti fattori indispensabili, certo. Ma per Valentino, non c'è nulla come duellare con chi gli scommette contro per convertire la sua rabbia in forza vincente.
Se tanto detto fosse vero, ci si potrebbe domandare: e allora come mai quando Valentino Rossi era in Ducati, vista la rabbia che aveva, ha sempre deluso le aspettative?
Forse perché lui stesso era convinto veramente di potercela fare, in sella alla rossa, forse perché lui stesso credeva che sarebbe stato ascoltato dal'incredibile schieramento di meccanici che Ducati gli aveva messo a disposizione. Forse perché Valentino era più intristito e deluso, che arrabbiato. Non era abbastanza incarognito, non come oggi. Ci si trovava al cospetto del fallimento del sogno di tutti gli italiani: Rossi sulla rossa. Suonava anche bene, detta così.
Ducati l'aveva corteggiato per anni ma lui aveva sempre dichiarato pubblicamente che non ci sarebbe mai salito, su quella moto. Forse se lo sentiva, che non era una cosa da fare. Poi però ha infranto il sigillo di questa promessa e su quel contratto milionario firma fu. E tutti gli italiani gridarono al miracolo: il sogno comune di Rossi sulla rossa si stava avverando!
“Come sono sceso dalla Ducati a novembre ho sognato di risalire sul podio proprio qui in Qatar”.
Eccola qui la rabbia che si trasforma in forza vincente! Quella voglia di riscatto data dal chiudere una brutta storia per ricominciarne una nuova. Data da un compagno di squadra – Jorge Lorenzo – velocissimo, impeccabile, maturato, leale, veloce e inattaccabile sotto il profilo morale e perfino mediatico, nonostante la stampa internazionale sia già col cronometro in mano a misurare il tempo che manca al boom!, allo scoppio della coppia.
La voglia di riscatto data da un “vecchio” avversario, Dani Pedrosa, che “non ha mai vinto nulla” ma è ancora lì davanti fra i favoriti, e che come ha sempre fatto, potrebbe dar fastidio quando uno meno se l'aspetta.
E quella data dal futuro che irrompe nel presente e travolge gli schemi della logica: da quel giovanissimo Marc Marquez, un talento unico che ha sempre mantenuto promesse e aspettative più grandi di lui, con il solo obiettivo di eguagliare le gesta del suo idolo Valentino Rossi, il cui poster è appeso da anni con le puntine alla parete della sua cameretta.
Si tratta di quella incontenibile voglia di riscatto data da colui che ha voluto provarci in sella alla sua ex moto, Andrea Dovizioso, i cui successi sulla Ducati getteranno inevitabilmente – quando e se ci saranno – un bel po' di fumo in faccia a chi ha sempre detto che se Rossi non vinceva era colpa della moto.
Oggi il web impazza di polemiche, è pregno delle grida di gioia di chi non ha mai smesso di crederci, dei silenzi di chi, fino a ieri, si è riempito i polmoni con grasse risate di scherno, dei complimenti di chi, da puro amante di questo sport, applaude a prescindere, al meraviglioso spettacolo a cui tutti noi abbiamo assistito ieri sera.
Decine e decine di complimenti e di messaggi diretti su twitter da parte di VIP, personaggi dello sport e dello spettacolo sono arrivati oggi a Valentino Rossi. E' il presagio che con il il Motomondiale ci sarà da divertirsi parecchio quest'anno. Non perché Valentino è tornato, ma perché lo show è tornato. Che poi le due cose siano legate una all'altra a stretto giro, questo semmai ditelo voi.
E' il ritrovato desiderio di sentire il proprio cuore esplodere dinnanzi a forti emozioni in un momento storico come quello che stiamo vivendo, in cui c'è veramente poco di cui poter gioire.
Lo spettacolo del Motomondiale che si infila dentro le case della gente come terapia d'urto antidepressiva, a scuotere i cuori assopiti della gente, a inumidire gli occhi per l'emozione, a far saltare sulla sedia amici e parenti ed abbracciarsi stringendosi forte perché, almeno nello sport, c'è ancora qualcosa di vivo in cui credere, in cui sperare, in cui immedesimarsi.
E se poi lo spettacolo portasse anche il nostro tricolore, ricordandoci che grande popolo potremmo essere solo volendolo veramente... Be', questo male di sicuro non farebbe.