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September 28 2017
Il 13 ottobre prende il via il processo bis a carico di cinque carabinieri per la morte di Enzo Cucchi, deceduto il 22 ottobre 2009 a Roma all'età di 32 anni durante una custodia cautelare. Vedrà una nuova e inedita testimonianza, che riaccende le speranze della famiglia Cucchi, convinta che il proprio caro sia stato pestato a morte: un detenuto afferma di aver incontrato il geometra romano nel carcere di Regina Coeli, in condizioni disperate. "Stefano non si reggeva in piedi, si aggrappava alle sbarre".
Ecco i dettagli.
In un conferenza stampa in Senato, a margine del lancio del terzo Memorial "Corri con Stefano" dedicato proprio al giovane fermato per spaccio di droga e morto sette giorni dopo, l'avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, fa sapere: "C'è un nuovo testimone che si è fatto avanti alcuni giorni fa, la cui deposizione è importante perché ci descrive uno Stefano particolarmente in difficoltà fisiche, aggrappato alle sbarre che non riesce a reggersi in piedi, con buona pace di coloro, periti compresi, che parlavano di lesioni dolose lievi".
Il nuovo testimone "descrive il clima in cui era costretto a vivere chi era depositario di una verità diversa da quella cosiddetta ufficiale. Non ha parlato perché era in carcere, a Regina Coeli".
Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano che da anni chiede "verità e giustizia" per il fratello (QUI tutte le tappe del lungo iter giudiziario), continua a lottare e sperare: "Il 13 ottobre inizia il processo, quello vero".
Il legale Anselmo è positivo: "Si riparte daccapo ma con un respiro diverso. Il punto centrale del nuovo processo non sarà il pestaggio, ormai accertato, ma l'aspetto medico legale sul quale abbiamo speso molta energia. Abbiamo un incidente probatorio e una perizia che riconoscono il pestaggio di Stefano. Le indagini della Procura e della Squadra Mobile sono talmente complete che sono riuscite perfino a raccogliere la confessione da parte degli imputati di avere eseguito quel pestaggio".
Il processo vedrà alla sbarra cinque carabinieri, tre accusati di omicidio preterintenzionale e due di falso e calunnia.
Roberto Mandolini, uno dei cinque imputati che all'epoca dei fatti era comandante interinale della Stazione Roma Appia, affida a Facebook il suo sfogo: "Siamo pronti all'ennesima gogna mediatica".
E ancora: "Noi siamo qui, lavoreremo sereni e con la coscienza a posto, l'unica colpa dei Carabinieri è stata quella di arrestare una persona che spacciava sostanze stupefacenti al parco dell'Appio Claudio a Roma, vicino alle scuole medie. Tutto qui". Per concludere: "Noi non abbiamo nessuno dietro, non abbiamo la politica, le tv, i giornali, le radio, le Onlus, le associazioni pro Acab, noi abbiamo solo i nostri Alamari, il nostro credo e la nostra onestà per affrontare il processo".