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June 05 2019
Saranno almeno vent’anni che la politica italiana grida alla necessità di una riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura, scegliendo un sistema che almeno diluisca il peso e lo strapotere delle correnti.
È un grido sacrosanto, perché le correnti sono un motivo centrale, nel disastro della giustizia italiana. Non soltanto perché è assurdo che un magistrato inquirente o un giudice, cui è proibito per legge iscriversi a un partito, possano invece liberamente fare parte di un gruppo dotato di un’evidente connotazione politica, di parte. Ma anche perché le correnti governano il Csm, che è l’organo costituzionale che ha il delicatissimo compito di amministrare le carriere dei circa 9 mila magistrati e decide trasferimenti e promozioni negli uffici più importanti (i vertici delle Procure), ma anche le punizioni le sanzioni.
Ed è esattamente lì, tra la carota e il bastone del Csm, che inizia il disastro della giustizia. Vediamo di scomporre il meccanismo. Le correnti, oggi, sono quattro o cinque. Due sono di sinistra: Magistratura democratica, nata nel 1964 all’ombra del Pci, e oggi genericamente di centrosinistra; e Movimento per la giustizia, che nasce come cartello elettorale tra due vecchi ruppi di sinistra, i Verdi e Articolo 3. Ultimamente, Md e le altre componenti hanno dato vita a un cartello elettorale unitario, denominato Area. Altre due correnti sono centriste e maggioritarie: sono Unità per la Costituzione, detta Unicost, più centrista, e Magistratura indipendente, appena un po’ più conservatrice. Da ultimo, pochi anni fa, è nata anche Autonomia e indipendenza, una quinta corrente più “sindacale” e insieme giustizialista, fondata e diretta da Piercamillo Davigo.
Il problema vero è che un magistrato il quale decida di stare fuori da uno di questi “partiti” parte svantaggiato. Certo: alla fine farà carriera, visto che grazie a due leggi del 1966 e del 1973 è automatica, e chiunque superi l’esame di Stato sa che gli basterà sopravvivere qualche decennio per ottenere lo stipendio di un presidente di Corte di cassazione. Ma il nostro “senza corrente” sa in partenza non ne avrà il ruolo concreto. Perché il suo nome non entrerà mai nel mercato delle vacche che le correnti celebrano nel Csm: io voto il tuo candidato a quel certo ufficio, se però tu voti il mio per quell’altro; io aiuto il tuo magistrato a non essere colpito dalla punizione (che magari merita), ma ovviamente tu aiuti il mio.
Le trattative di questo tipo sono quotidiane, serrate, frequentissime, come mostra lo scandalo che da una decina di giorni sta mettendo a soqquadro il Csm attorno al pasticcio della nomina del successore del procuratore capo di Roma, andato in pensione ai primi di maggio. Ci stanno facendo una figura orrenda, i magistrati coinvolti: saltano fuori accordi sottobanco, trame oscure, scambi irriferibili, perfino accuse di corruzione.
Un onesto giudice lombardo, un “senza corrente” che tiene al suo anonimato più che alla sua vita, spiega che in realtà le cose stanno anche peggio di così, perché il “mercato delle vacche” del Csm non è fine a sé stesso. Aggiunge, il nostro giudice, che lo scambismo correntizio ha effetti osceni sulla stessa amministrazione della giustizia. La storia che il senza corrente racconta è terrorizzante, anche perché giura che è veramente accaduta. La storia è questa: un certo pubblico ministero Tizio, magistrato di fama e in carriera, è impegnato a sostenere l’accusa in un importante procedimento davanti a un certo giudice Caio. Il pm Tizio appartiene alla corrente A, e il giudice Caio alla corrente B. Si avvicina la sentenza e Tizio tiene molto al risultato, com’è giusto che sia. È allora che parte un gioco sommerso di telefonate, pressioni, segnalazioni, intercessioni... Accade perfino che una delegazione di corrente si spinga a contattare il giudice Caio, e che vada a trovarlo di persona. A Caio i colleghi di corrente ricordano vivacemente che la corrente A, quella del pm Tizio, è fondamentale per ottenere una certa promozione che la corrente B ha chiesto al Csm per un suo magistrato, Sempronio. I colleghi di Caio gli fanno capire che, se la sua sentenza sarà negativa per il pm Tizio, o se non lo appagherà fino in fondo, è probabile che al Csm i suoi amici di A non saranno molto disponibili ad allinearsi.
Ovviamente Caio alla fine è libero di agire come crede. Ma siete davvero convinti sia facile dire no alla corrente cui hai affidato il tuo destino professionale? Quanti magistrati diranno di no, così bloccando per sempre ogni loro futura promozione e in definitiva la carriera? Meditate, gente, meditate. E mediti soprattutto la politica. Questo Csm fa paura…