Caso Regeni, le rivelazioni del New York Times sui contatti Usa-Italia

All'indomani della decisione del governo italiano di rimandare l'ambasciatore d'Italia in Egitto (il neo-designato Giampaolo Cantini), dopo che il predecessore Maurizio Massari venne richiamato in patria nell'aprile 2016 in seguito alla barbara uccisione di Giulio Regeni, il New York Times pubblica una lunga inchiesta sul caso del giovane ricercatore italiano.

Rivela che l'amministrazione Obama avvertì subito l'Italia della responsabilità degli apparati dello Stato egiziano nel massacro del ragazzo, ritrovato morto il 3 febbraio 2016. Parlò anche di "prove esplosive", mai però mostrate per evitare di bruciare la sua fonte.

Il governo Gentiloni ha però spiegato: "mai fornite prove esplosive, né elementi di fatto" come peraltro spiega anche il New York Times.

"Siamo pronti ad andare al Cairo il 3 ottobre o anche prima - ha detto Paola Deffendi - madre di Giulio - Vogliamo arrivare prima noi dell'ambasciatore".

Ecco i dettagli. 

Cosa dice il New York Times

In un lungo articolo il New York Times spiega che, "nelle settimane successive alla morte di Regeni gli Stati Uniti vennero in possesso dall'Egitto di prove di intelligence esplosive, prove che dimostravano come Regeni fosse stato rapito, torturato e ucciso da elementi della sicurezza egiziana". Fonti dell'allora amministrazione Obama affermano che "si era in possesso di prove incontrovertibili delle responsabilità egiziane".

Il materiale venne girato "al governo Renzi su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca". Ma "per evitare di svelare l'identità della fonte non furono passate le prove così come erano, né fu detto quale degli apparati di sicurezza egiziani si riteneva fosse dietro l'omicidio".

Il confronto burrascoso tra Kerry e Shoukry

In seguito a quanto scoperto dall'intelligence americana, ci fu un colloquio molto teso tra l'allora segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry.

Durante l'incontro tra i due, alla fine del 2016, ci fu una conversazione "quanto mai accesa" anche se - come ha spiegato la fonte al New York Times - la delegazione americana non riuscì a capire se il ministro egiziano stesse tergiversando o semplicemente non conoscesse la verità.

L'approccio duro di Kerry "provocò alzate di sopracciglio" all'interno dell'amministrazione Obama, perché Kerry aveva la reputazione di "trattare l'Egitto - un fulcro della politica estera americana dal trattato di pace israelo-egiziano - con in guanti".

La leadership egiziana sapeva

"Non era chiaro chi avesse dato l'ordine di rapire e, presumibilmente, di uccidere Regeni", ha detto un'altra fonte al New York Times. Quello che gli americani però sapevano per certo - e che hanno condiviso con gli italiani - era che la leadership egiziana era totalmente consapevole delle circostanze della morte di Regeni.

"Non avevamo dubbi che questa faccenda era conosciuta ai massimi livelli", ha spiegato una fonte dell'amministrazione Obama: "Non so se avessero la responsabilità ma sapevano". 

La risposta del governo italiano

In risposta all'inchiesta del New York Times, fonti di Palazzo Chigi confermano di aver avuto informazioni dagli americani, ma anche di non aver ricevuto prove: "Nei contatti tra amministrazione Usa e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all'omicidio di Regeni, non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda tra l'altro lo stesso giornalista del New York Times, né tantomeno 'prove esplosive'".

Viene quindi sottolienato "che la collaborazione con la procura di Roma in tutti questi mesi è stata  piena e completa".

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