News
October 31 2017
Venerdì 27 ottobre il Parlamento catalano ha dichiarato la Catalogna indipendente. Ma è durata pochissime ore la Repubblica catalana secessionista, la terza della storia (nel 1931 durò quattro giorni, nel 1934 una sola notte). Il premier spagnolo Rajoy ha subito destituito il suo presidente Carles Puigdemont, il vicepresidente Oriol Junqueras e tutto il governo, ha sciolto il Parlamento e indetto le elezioni anticipate. Di tutta risposta, a sorpresa, Puigdemont lunedì 30 ottobre è fuggito all'estero, in Belgio, insieme a cinque degli undici ministri del governo catalano.
Da Bruxelles Carles Puigdemont, l'ex presidente della Generalitat catalana, il 31 ottobre ha indetto una conferenza stampa, nella sala del Press Club, gremitissima, e qui ha accusato Madrid di non voler riconoscere "che esiste un problema" e di "utilizzare solo la repressione". Ha detto di essere in Belgio non per chiedere asilo politico ma solo "per lavorare in libertà e sicurezza".
Con mezzo governo in fuga e Rajoy determinato a non fare sconti, sono tante le domande aperte in questa partita a scacchi sempre più tesa e caotica.
Ecco cinque domande aperte e cinque risposte.
Bruxelles, oltre a essere la capitale de facto dell'Unione europea, è un magnete delle crisi. In Belgio si trova il partito nazionalista più forte d'Europa, l'Alleanza neo-fiamminga, che da sempre vuole l'indipendenza per le Fiandre e mostra non poche simpatie per lo spirito indipendista catalano. Anche se Puigdemont ha negato la volontà di chiedere asilo politico, si parla di un negoziato segreto avvenuto nei giorni scorsi con il ministro belga Theo Francken, nazionalista fiamminga e Segretario di Stato per l'asilo e la migrazione.
La Procura dello Stato spagnola accusa l'ex presidente catalano Puidgemont e gli altri membri del governo regionale di ribellione, sedizione e malversazione. Puigdemont e soci rischiano fino a trent'anni di carcere.
Come ha dimostrato nel suo discorso da Bruxelles, Puigdemont punta a scaricare le sue colpe sul governo spagnolo. Si è definito "il presidente legittimo" della Catalogna e ha avvertito del "grave deficit democratico che vi è nello Stato spagnolo". Parla di "repressione" e invita l'Europa a reagire: "La causa catalana mette in questione i valori su cui si basa l'Europa ed è prezzo troppo caro da fare pagare alla gente".
Anche di fronte al tribunale spagnolo dell'Audiencia Nacional potrebbe contestare la violazione dell'autonomia catalana, riversando quindi su Madrid l'accusa di incostituzionalità.
La Repubblica catalana è morta sul nascere. La sfida politica però ora passa dalle elezioni indette per il 21 dicembre, in seguito allo scioglimento del Parlamento catalano. Il Partito Democratico Europeo Catalano di Puigdemont parteciperà. Il voto dei catalani sarà una bussola importante: se gli indipendisti ottenessero la maggioranza sarebbe un segnale importante e il problema catalano non potrebbe essere ignorato dall'Europa.
Da Bruxelles Puigdemont già chiede "un impegno di Madrid perché rispetti i risultati delle elezioni".
Pur contestando la legittimità del voto convocato da Madrid, il Pdecat di Puigdemont e l'Esquerra Republicana de Catalunya di Oriol Junqueras hanno deciso di partecipare per cercare di riconquistare la maggioranza assoluta nel Parlamento e infliggere una sconfitta nelle urne al governo spagnolo.
Anche la sinistra secessionista della Cup non esclude più di partecipare. Correranno anche i partiti unionisti. Xavier Albiol sarà il capolista Pp, Miquel Iceta del Psc, Irene Arrimadas per Ciudadanos. Podemos correrà con il partito del sindaco di Barcellona Ada Colau.
Secondo un recente sondaggio, la lista indipendentista Junts pel Sí oggi vincerebbe le elezioni con 60-63 deputati su 135.