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September 25 2017
Cresce la tensione in Catalogna, dove il primo ottobre è in programma il referendum per l'indipendenza (anche se la Corte Costituzionale spagnola lo ha sospeso per illegittimità): il presidente catalano Carles Puigdemont non ha escluso di poter essere arrestato dalla polizia spagnola.
La stessa Procura non ha negato l'ipotesi. Puigdemont ha sottolineato che quella catalana non è rivendicazione economica e che Barcellona vuole rimanere nell'euro e in Europa.
Non è esclusa, invece, la presentazione di una dichiarazione Unilaterale di Indipendenza al parlamento catalano dopo il primo ottobre.
Il punto di non ritorno è stato sancito la notte tra il 7 e l'8 settembre, quando il parlamento catalano ha approvato per iniziativa della maggioranza assoluta secessionista la legge di "rottura" con Madrid, che entrerà in vigore se il "sì" vincerà.
Per Barcellona, però, non sarà così facile.
Il primo ministro Mariano Rajoy ha dichiarato il referendum di autoderminazione catalano "illegale" sulla base della Costituzione adottata a fine 1978 (sostenuta da oltre il 90% dei catalani) nella transizione fra dittatura franchista e democrazia.
La Costituzione sancisce "l'unità indissolubile della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli".
Il governo fa muro contro muro e non scarta nessuna opzione giuridica, compreso il ricorso all'articolo 155 della Costituzione stessa, che consentirebbe a Rajoy di sospendere l'autonomia catalana e costringere forzosamente la comunità autonoma a rispettare il dettato costituzionale.
La giustizia spagnola ha denunciato per disobbedienza, abuso di potere e presunta malversazione di danaro pubblico Puigdemont, il suo governo e la presidente del parlamento catalano Carme Forcadell. Rischiano condanne a fino sei anni di carcere.
Puigdemont non demorde e continua la sua sfida al governo centrale, replicando che il referendum è assolutamente "legale", perché poggia su una legge del parlamento catalano, "sede della sovranità popolare".
La maggioranza dei catalani vuole poter votare l'1 ottobre, a differenza del resto della Spagna che è per lo più contrario: secondo un sondaggio Sigma Dos, il 60,3% degli spagnoli vuole che il governo di Madrid impedisca lo svolgimento del referendum.
L'11 settembre, in occasione della "Diada", la festa nazionale catalana che celebra l'11 settembre del 1714, giorno in cui Barcellona cedette all'assedio delle truppe franco-spagnole di Filippo V perdendo la sua indipendenza, centinaia di migliaia di persone hanno partecipato alla grande manifestazione in difesa del referendum. Dopo un minuto di silenzio per le vittime degli attentati jihadisti di agosto, la folla ha cantato l'inno nazionale catalano Els Segadors.
Come nota Axios, molti catalani sentono di dare alla Spagna più di quanto la Spagna non dia loro.
Nonostante le pressioni di Madrid che minaccia sanzioni penali, oltre 680 sindaci catalani su 947 si sono schierati per rendere possibile il referendum sull'indipendenza. I sindaci di Tarragona, Lleida e Hospitalet, città governate dai socialisti contrari all'indipendenza, invece non collaboreranno.
La sindaca di Barcellona Ada Colau, esponente di Podemos, dopo aver detto che non avrebbe concesso i locali municipali per il referendum, ha invece corretto il tiro: farà "tutto il possibile perché si possa votare".
Secondo la stampa di Barcellona, i catalani residenti all'estero hanno già iniziato a votare.
Il braccio di ferro tra Madrid e la Catalogna è ai massimi livelli di scontro, con il rischio di rottura costituzionale. Anche se alla fine il referendum dovesse fallire, il governo centrale non potrà che rivedere le pieghe costituzionali e allargare le maglie dell'autonomia catalana, per evitare una completa secessione.