Tecnologia
August 02 2013
Il 3 aprile 1973 un ingegnere di Motorola di nome Martin Cooper uscì dall'Hilton hotel di New York e dinnanzi a una folla di giornalisti e curiosi mostrò al mondo un oggetto che sembrava tratto da un film di fantascienza: era il primo telefono cellulare della storia.
Si chiamava Dyna-Tac e col senno di poi verrebbe da dire che era un oggetto più simile a un mattone coi tasti che non al telefonino come siamo abituati a pensarlo. Basti pensare che pesava quasi un chilo e mezzo e aveva un’autonomia di mezz’ora. Ma per quei tempi era già un miracolo. In fondo non esisteva nemmeno il cordless e Internet era poco più che un’idea. Senza contare che il telefono era ancora un oggetto pensato e utilizzato per raggiungere luoghi e non persone.
La portata di quell’invenzione la conosciamo bene. Oggi il telefono cellulare, nella sua accezione più moderna – quella degli smartphone – è senza dubbio l’oggetto più importante e desiderabile del nostro paniere tecnologico, uno scrigno digitale capace di contenere tutte le informazioni chiave della nostra vita. E Martin Cooper, dall’alto dei suoi 84 anni (portati benissimo) può ragionevolmente pensare di essere stato uno dei grandi visionari del secolo scorso capaci di cambiare non solo la storia della tecnologia, ma anche quella del vivere quotidiano.
Panorama.it lo ha incontrato alla vigilia del prestigioso Marconi Prize (riconoscimento che gli verrà consegnato il prossimo 1 ottobre a Bologna) per fargli qualche domanda:
Ora possiamo dirlo. Quella del cellulare è stata una delle idee più importanti del secolo scorso. Ci può dire da dove le venne l’ispirazione?
Forse il vero precursore di tutto fu Dick Tracy: se andate a riguardarvi le strisce dei suoi vecchi fumetti scoprirete che in tempi assolutamente non sospetti indossava una specie di telefono da polso, poi trasformato in un video-terminale. In realtà la vera ragione che spinse noi di Motorola a creare quell'oggetto fu la rivalità con AT&T, temevamo la possibilità di un monopolio sul mercato dei telefoni e delle reti. Dovevamo fare qualcosa per catturare l’attenzione delle persone.
Diciamo che ci siete riusciti...
Tutti parlano del concept del telefono ma in realtà la vera sfida fu realizzare tutta l’infrastruttura intorno: dovevamo creare il primo sistema cellulare e dimostrare che era funzionante per fare delle chiamate. Il mio team ai tempi fece un lavoro straordinario.
Ora lo può dire: quanto è orgoglioso di quella invenzione? Pensa di aver cambiato il mondo?
Non sono orgoglioso dell’invenzione in sé ma dei benefici che ha portato alla gente. Qualche tempo fa ho letto di un pescatore indiano che grazie a un’applicazione presente sul suo telefono oggi lavora in modo molto più efficiente, trovando le zone più pescose e i mercati migliori per piazzare il suo prodotto. Ecco, posso dire che grazie al cellulare la sua vita è migliorata così come quella di tutte le persone che possono comprare il pesce migliore al minor prezzo. Il mondo migliora in tanti modi differenti e la tecnologia in questo senso può aiutare.
Sono passati 40 anni dal Dyna-Tac. A parte le evidenti differenze estetiche qual è la differenza principale fra quel telefono e gli smartphone di oggi?
L’hardware è migliorato moltissimo, non c'è dubbio. Nel 1973 non c’erano ancora i PC, le fotocamere digitali, Internet era appena un’idea, i circuiti integrati su larga scala non erano stati ancroa inventati. Non potevamo certo immaginare che un giorno tutto questo sarebbe stato combinato in unico prodotto portatile. Ma è soprattutto l’avvento dei dati ha cambiato lo scenario.
Ok, proviamo a fare un salto in avanti di 40 anni. Come se lo immagina il cellulare del 2053? Sarà più simile all’iPhone o ai Google Glass?
Il punto non è immaginare come sarà il prossimo gadget portatile ma come la tecnologia può cambiare la nostra vita. Bisogna guardare ai problemi prima di pensare alle soluzione. E i problemi di oggi si chiamano sanità, istruzione, povertà. Quando penso al futuro dei cellulari penso a come potranno risolvere questi problemi.
Ha già qualche idea in proposito?
Penso che la rivoluzione sia già in atto e non credo abbia a che fare con i Google Glass. Le nuove generazioni stanno sperimentando le "flipped classroom" un concetto di istruzione che si basa sulla possibilità di utilizzare da un lato i dispositivi mobili e Internet come fonte di apprendimento e, dall’altro, le lezioni in classe come momento per fare pratica ed esercizi. Anche il settore della sanità può godere di molti benefici: i dispositivi potranno ad esempio monitorare il nostro stato di salute e farlo in modo continuo in modo, cosicché un computer remoto li possa analizzare e raffrontare per capire come combattere la malattia prima che questa arrivi. La verità è che siamo piuttosto inefficienti in tutto quello che facciamo. Oggi possiamo comunicare 24 al giorno da qualsiasi luogo in molte forme differenti, con un sms ad esempio, una chiamata voce, un messaggio istantaneo di Facebook. Ma dobbiamo combinare tutte queste forme di comunicazione nel migliore modo possibile. Quando ci riusciremo potremo davvero rivoluzionare il commercio, l’economia, la politica, con un impatto più profondo sulle persone.
Vede anche lei un futuro nel quale Internet sarà in ogni cosa?
Credo che Internet diventerà sempre di più parte della nostra vita, non deve essere una cosa separata.
Non rischiamo di perdere la nostra identità e soprattutto la nostra privacy?
Bisogna capire che la privacy non esiste più. Siamo misurati, monitorati, osservati in tutto ciò che facciamo e ovunque andoiamo. Dobbiamo accettarlo. Il problema semmai sta altrove, nella sicurezza ad esempio. Dobbiamo sempre chiederci come controllare i nostri dati a come tutelare le informazioni che appartengono a noi e solo a noi. Sono queste le sfide più importanti che dovranno essere affrontate dalle nuove generazioni.